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Pubblicato: 18/09/2020 17:03

Il referendum è in arrivo, tutti ne parlano, il popolo dei social si infiamma, qualsiasi strategia è lecita pur di portare a casa il risultato. Un risultato che molto più di un “sì” o un “no” rispetto al taglio di parlamentari ed è, invece e come spesso accade, un importante test elettorale (al punto che il Momento 5 Stelle finanzia campagne social per promuovere post che vedono protagonista Salvini e la Meloni, i quali propendono per il “sì”).

Referendum in arrivo: vera scelta?

Il referendum in arrivo sembra celebrare i migliori principi democratici e, invece, ci incastra in una scelta che non è una vera scelta: magia (nera) delle parole. Lo scopo di questo articolo diventa dunque quello di svelare il meccanismo di funzionamento del cervello rispetto a un quesito mal posto, affinché il lettore possa esercitare con maggiore consapevolezza la propria volontà e, soprattutto, possa uscire dal gioco imposto da chi detta le regole. La conoscenza rende liberi, la conoscenza di come funzionano le parole ancor di più.

Doppio legame

Rispondete d’istinto: stasera a cena preferireste mangiare carne o pesce? A meno che siate vegani o che abbiate in testa da tre ore l’idea di una pizza, il vostro cervello si è orientato sulla scelta che ho proposto. O carne, o pesce. Una scelta che sembra libera ma che in realtà è fortemente limitante della vostra vera libertà di scelta: potreste voler mangiare legumi, spaghetti, minestrone, pizza, pane e formaggio, aria fritta. Si chiama “doppio legame” proprio perché vi “lega” a due opzioni rispetto alle mille disponibili e presuppone che voi vi orientate proprio su quelle da me proposte. Leggerete il mio ultimo romanzo nel week end o addirittura stasera? Ecco un’altra falsa scelta, che presuppone, forzando la mano, che il mio ultimo romanzo lo leggerete (potreste, in realtà e con mio sommo dispiacere, anche non leggerlo). La prossima volta che qualcuno vi chiede “ci vediamo da me o da te?”, ricordatevi che esiste anche la possibilità di starvene tranquilli sul divano a casa vostra.

Cento asini in una stanza

Torniamo al referendum: volete tagliare il numero di parlamentari, sì o no? Che cosa presuppone questo quesito così mal posto (si spera, almeno, in buona fede)? Presuppone molte cose, fra le quali, fate attenzione, che il problema di cui parlare sia il numero di parlamentari e, per esteso, il costo che la collettività deve sostenere per mantenere questi parlamentari. Il quesito, dunque, canalizza l’attenzione del votante sul frame “soldi”. Facciamo insieme un passo in avanti e immaginiamo di essere titolari di una azienda e di avere cento consulenti incapaci e strapagati in una stanza. Pare intuitivo che, se volete salvare l’azienda, vi servono consulenti preparati. Se eliminate dalla stanza venti di questi consulenti incapaci, nella stanza resteranno ottanta consulenti incapaci. Avrete risparmiato un po’ di denaro ma la vostra azienda fallirà comunque, perché fra cento consulenti incapaci e ottanta consulenti incapaci, l’unica differenza è nel tempo che impiegherete a fallire. Io, oltre che dedicarmi a scrivere articoli sull’intelligenza linguistica, sono un imprenditore e vi posso assicurare che a un imprenditore mediamente saggio non interessa quanto costa un team di consulenti: quel che interessa è il ROI, ovvero il ritorno sull’investimento, ovvero quanto quei consulenti faranno guadagnare all’azienda.

Il doppio legame proposto dal quesito referendario, quindi, ci fa pensare a cose come numero di persone sedute in parlamento, costo del loro stipendio e così via. Nulla ci dice su quel che davvero conta quando si parla di rappresentanza del popolo ad opera di individui che dovrebbero guidare il popolo medesimo con intelligenza e saggezza. Il quesito referendario nulla ci dice circa l’ignoranza della maggior parte dei nostri governanti che, inchieste alla mano, difettano delle più basilari nozioni di cultura generale e spesso fanno fatica ad esprimersi in italiano (a partire dal nostro ministro degli esteri, che azzecca un congiuntivo ogni due settimane o il ministro dell’istruzione che manipola le parole a proprio uso e consumo – vedi alla voce “congiunti” – e che esorta gli studenti che NON sanno di avere la febbre a non salire sugli autobus). Vale per tutti: volendoci divertire, potremmo ricordare gli abissi culturali dell’ex ministro Toninelli, della Santanché, del Silvio nazionale fino all’ex ministro dell’istruzione Fedeli e il suo celeberrimo (o dovrei dire “celebrissimo”, per farmi capire?) “più migliore”. Vi basta cercare su Google per visionare decine e decine di interviste a politici che non hanno la minima idea di cose che dovrebbero essere il loro pane quotidiano.

Un quesito ingannevole

Dovremmo spostare il frame, dovremmo spostare l’attenzione degli italiani su altre questioni, come ad esempio la cultura e la competenza (ricordo il ministro Marianna Madia che, eletta nel 2008, dichiarò che la sua dote era l’inesperienza. Sì, lo dichiarò davvero). Sentite ad esempio come suona questo quesito: volete voi che i vostri rappresentanti superino un test di cultura generale prima di essere candidati? Oppure, sentite anche questo: volete voi che i vostri candidati superino con successo un esame di grammatica italiana? Oppure: volete voi che i vostri candidati siano competenti, abbiano un curriculum che li legittimi a prender decisioni che riguardano la nostra vita e il futuro dei nostri figli? Oppure: volete voi che i parlamentari, per meritare la pagnotta, possano essere licenziati se non presenziano a tutte le sedute del Parlamento? Sentite come suonano meglio questi quesiti? Queste sono le domande che andrebbero poste agli italiani perché queste spostano il frame, ovvero l’attenzione, non sullo stipendio ma sulla capacità, non sui soldi che uno guadagna ma sul fatto che se li meriti. Io, che oltre a essere imprenditore sono pure consulente, non mi preoccupo della lauta parcella che chiedo ai miei clienti: mi preoccupo di meritarmela. E vi posso assicurare che i miei clienti sono molto lieti di saldarmi le fatture, quando a fine mese vedono i loro fatturati o il loro consenso elettorale crescere vertiginosamente. Con questo quesito, passatemi il francesismo, ci stanno per fottere. Ancora una volta. Perché, che vinca il “sì” o vinca il “no”, ci ritroveremo comunque con una classe politica globalmente ignorante, che fa fatica ad esprimersi, che nulla sa di quel che dovrebbe sapere.