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Mps, la fine dello Stato Banchiere deve aspettare

Pubblicato: 09/11/2020 10:35

Quando il Tesoro si è sobbarcato il Monte dei Paschi, portandosi al 68% del capitale con una spesa di 5,5 miliardi di euro, il piano per la progressiva ri-privatizzazione concordato con la Commissione Europea doveva concludersi entro la fine del 2021. Dopo tre anni, la presa dello Stato su Rocca Salimbeni (oggi vale poco più di 1,23 miliardi in Borsa) è ancora forte nonostante i piani del Mef e le voci su un possibile merger con UniCredit.

Che Conte e Gualtieri abbiano fretta di liberarsi di Mps lo si è visto con lo spin off degli Npe ad Asset Management Company (controllata del Mef che si occupa di gestione di Npl), un’operazione che rappresenta un tassello importante per l’exit dello Stato e che permetterà alla banca senese di liberarsi di 8 miliardi di crediti deteriorati attraverso una bad bank di nuova costituzione.

Ma la trazione “Stato-piglia tutto” all’interno del governo rappresentata dal Movimento 5 Stelle getta il dossier Monte dei Paschi su un piano politico piuttosto che economico. A rallentare inizialmente l’operazione con AMCO è stato, infatti, il partito grillino, il quale vorrebbe portare avanti il progetto di una “super” banca nazionale nel quale possano convergere anche le derelitte (ma salvate) Banca Carige e la Popolare di Bari.

“Nella visione del Movimento 5 Stelle c’è massima disponibilità a mantenere un ruolo dello Stato nella compagine azionaria di Mps”, parlava così in estate la presidente della commissione banche Carla Ruocco, area 5S. E in questo senso d’inserisce lo scetticismo mostrato dal CEO della Banca di Piazza Gae Aulenti Jean Pierre Mustier, nonostante il costante appello della Banca Centrale Europea alle banche di aggregarsi il più possibile per resistere alla crisi. E per Conte and co. la riluttanza di UniCredit rappresenta un ulteriore grana, in quanto il colosso bancario resta, per ora, l’unico ente sul tavolo del Mef disposto ad un’acquisizione.

La nomina dell’ex ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, e autore del salvataggio di Mps, a presidente di UniCredit, e le successive dimissioni da Palazzo Madama, avevano fatto ben sperare il mercato che ha premiato il titolo di Mps con rialzi di oltre l’8% durante la scorsa settimana. Ma durante la conference call con gli analisti sui risultati trimestrali della banca milanese è arrivato un no secco da parte di Mustier, il quale ha fatto capire senza troppi giri di parole che l’istituto “non è interessato a Mps”.

“Siamo concentrati sulla crescita organica”, ha detto il consigliere delegato, “e ora vogliamo accelerare la trasformazione del business della banca”. Il manager ha poi chiarito di preferire i processi legati alla trasformazione piuttosto che l’integrazione di asset esterni con “l’obiettivo di preservare il capitale in eccesso per sostenere l’economia”.

Il piano per strappare il sì del francese, tuttavia, potrebbe passare da uno schema che prevede un’ultima ricapitalizzazione da 2,5 miliardi, con ulteriori 3 miliardi di crediti fiscali e il 5% di partecipazione del Mef, anche in seno alle “bombe legali” che circondano Mps per le condanne degli ex manager Fabrizio Viola e Alessandro Profumo.

“Nelle scorse settimane sono circolati rumors circa una possibile fusione fra Unicredit e MPS, ma per ora nulla pare confermato”, commenta per Momento Finanza Stefano Sanna, wealth advisor di Norisk SCF, società di consulenza finanziaria.

“Dopo l’operazione di Intesa Sanpaolo su UBI Banca”, spiega Sanna, “si è pensato che stesse per ripartire il risiko bancario, non a caso precedenti indiscrezioni avevano riportato anche di un interesse sempre per MPS ma questa volta da parte di BPM”.

Secondo l’advisor, per quanto negli ultimi mesi anche la Banca Centrale Europea abbia più volte incoraggiato il processo di consolidamento fra le banche europee, “non è detto che tutte le operazioni di aggregazione portino necessariamente ad un rafforzamento degli istituti coinvolti”. A questo va aggiunto come la strategia perseguita da Unicredit negli ultimi anni “abbia guardato più all’Europa centro-orientale che all’Italia, oltre che al rafforzamento patrimoniale con la cessione di Fineco e Pioneer”.

“Mentre dunque paiono comprensibili le ragioni politiche di uscire da MPS da parte del Tesoro, a fronte di un risanamento molto complesso, per Unicredit potrebbero esserci più rischi che opportunità”, sottolinea Sanna. “Unicredit migliorerebbe forse il posizionamento competitivo a livello nazionale”, ma per l’advisor di Norisk “i rischi legali assunti a le implicazioni in termini di governance fanno pendere la bilancia dal lato dei rischi”.

Problemi di bilancio

Fitch ha confermato il rating BBB sull’istituto milanese con outlook stabile, ma con un’integrazione della banca senese i rischi potrebbero spostarsi anche sul profilo del credito. Il Monte ha chiuso il terzo trimestre con un perdita netta di 450,7 milioni rispetto ad un utile di 93,8 milioni di luglio/settembre 2019, mentre sui nove mesi il negativo ammonta a 1,54 miliardi rispetto ai 186,9 milioni dello scorso anno.

Facciata sede Monte dei Paschi di Siena
Facciata sede Monte dei Paschi di Siena (Fonte: Pixabay)

Il giro d’affari scende a 747,7 milioni da 840,2 milioni, mentre nei nove mesi i ricavi complessivi si aggirano sui 2,2 miliardi, riportando calo del 9,3% su base annua. Per quanto riguarda i coefficienti patrimoniali, il common equity tier 1 ratio si è attestato a 12,9%, rispetto al 13,4% del 30 giugno scorso; il total capital ratio è pari a 16,2% dal 16,0% della fine del primo semestre.

Dal canto suo anche la banca di Piazza Gae Aulenti non se la passa benissimo, ma nulla a confronto con la collega toscana, con Mustier che ha confermato l’obiettivo di utile netto sottostante superiore a 800 milioni per il 2020 e il target tra EUR3,0 ed EUR3,5 miliardi per il 2021. Solido lo stato patrimoniale, con CET1 ratio fully loaded al 14,41 per cento nei tre mesi a settembre, e rapporto tra crediti deteriorati lordi e totale crediti lordi al 4,7 per cento.

Nel periodo, l’utile netto sottostante è stato di 700 milioni, in calo rispetto a 1,1 miliardi dello stesso trimestre del 2019, con totale fatturato di 4,4 miliardi da 4,7 miliardi, supportato “dalla robusta performance delle commissioni” a detta della banca. Come per Sanna, anche secondo gli analisti di Equita SIM l’operazione “presenta più rischi che opportunità” per Unicredit, con conseguente aumento del profilo di rischio e un impatto negativo sulla valutazione.

Per la SIM milanese i rischi legali di Unicredit salirebbero da 10,7 miliardi (coperti al 7%) a 21 miliardi (coperti al 12%), con una componente company specific Banca MPS di circa 6 miliardi di euro coperti al 24%. Un livello che, secondo Equita, “potrebbe essere ritenuto non sufficiente dal mercato”.

Inoltre, la condizione di neutralità sul CET post operazione non potrebbe essere realizzata in quanto, dopo lo spin off con Amco, Mps ha un CET inferiore a quello di Unicredit, e le nuove risorse dell’aumento di capitale verrebbero impiegate per la ristrutturazione. Potrebbe migliorare, invece, il posizionamento competitivo a livello nazionale, con una quota di mercato in rialzo dall’11% al 16,5% rispetto al 19% di Intesa Sanpaolo, ma la presenza territoriale non troverebbe un riscontro rilevante, con la Lombardia che passerebbe dal 7% all’11% e il Piemonte dal 14% al 15%.

Infine un merger tra i due istituti allontanerebbe l’ipotesi di spin-off delle attività italiane da quelle estere di Unicredit, perché “il business domestico, che ha margini inferiori e un più alto costo del rischio rispetto al resto del gruppo, non riuscirebbe a garantire gli stessi ritorni su base stand-alone rispetto all’attuale configurazione”.

Ultimo Aggiornamento: 11/11/2020 16:06