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Omicidio Giulio Regeni: dalla morte nel 2016 al processo ai 4 egiziani

Pubblicato: 24/01/2021 19:13

La mattina del 25 gennaio 2016, Giulio Regeni è ancora vivo: per la sua famiglia, per i suoi amici e per se stesso. È ancora un promettente ricercatore di Cambridge, stanziato in Egitto allo scopo di studiare i movimenti ed i sindacati indipendenti egiziani, che sotto il governo di Al-Sisi vivono una difficile situazione.

La mattina del 25 gennaio 2016 Giulio Regeni è ancora il talentuoso figlio di Claudio Regeni e Paola Deffendi, che vivono a Fiumicello a migliaia di chilometri di distanza da lui, e da lontano ne seguono orgogliosi le gesta.

La sera del 25 gennaio 2016, Giulio Regeni diventa un fantasma perso nell’oscurità de Il Cairo. Non si reca all’appuntamento che avrebbe dovuto avere con alcuni amici e non torna più a casa sua. Verrà ritrovato cadavere sul ciglio di una strada egiziana il 3 febbraio 2016: il suo corpo racconta una storia di mostruose torture e una morte né rapida né indolore. 

Paola Deffendi, che ha dichiarato di essere riuscita a riconoscere il cadavere del figlio solo dalla punta del naso, ha dichiarato: “Sul volto di mio figlio ho visto tutto il male del mondo”. Questa frase, così come la storia di Giulio, sono immediatamente diventati di interesse nazionale.

La morte di Giulio, tra indagini e rapporti diplomatici

Oggi, 5 anni dopo, i due Paesi legati alla sua morte, in un modo o nell’altro (l’Egitto e l’Italia) vivono un complesso rapporto fatto da una parte di contenzioni investigativi e processuali, e dall’altra da intese commerciali e diplomatiche che, nonostante la drammatica e vergognosa vicenda del ragazzo di Fiumicello, non si sono mai interrotte.

Il processo: 4 accusati rinviati a giudizio

Le indagini preliminari della Procura di Roma si sono concluse solo nel 2020 ed hanno portato al rinvio a giudizio di 4 ufficiali egiziani: il maggiore Magdi Sharif, i colonnelli Usham Helmi e Athar Kamel ed il generale Tariq Sabir. Le accuse nei loro confronti sono di omicidio, lesioni personali gravissime e sequestro di persona aggravato. Il movente dell’omicidio di Regeni risulta essere il sospetto, da parte dei servizi segreti egiziani, che Giulio Regeni fosse una pedina fondamentale in un progetto di rivoluzione sul territorio egiziano. La tesi non sarebbe mai stata supportata da elementi validi a sfavore del ricercatore.

Il rinvio a giudizio dei 4 ufficiali non è stato un risultato semplice da ottenere – se di “successo” si può parlare: i 4 sono irreperibili. Per anni la magistratura e le autorità egiziane hanno messo in atto manovre evidenti di depistaggio delle indagini e di rallentamento delle comunicazioni nei confronti delle autorità italiane. Ancora oggi, se da una parte sono stati individuati 4 presunti responsabili, dall’altra la procura di Roma non ha potuto assistere agli interrogatori, né conoscono i loro attuali indirizzi di residenza.

Le indagini in Egitto: depistaggi e rallentamenti

Nei primi mesi e anni successivi al ritrovamento del corpo le autorità egiziane hanno dato giustificazioni più o meno inverosimili sul suo omicidio: l’amministrazione delle indagini di Giza parlò di “incidente stradale”, poi venne sostenuta la tesi del delitto passionale (la polizia egiziana parlò di una relazione omosessuale sfociata nella violenza) e dell’omicidio per droga (tra gli oggetti personali di Regeni forniti dalle autorità egiziane venne trovato dell’hashish. Nessuna di queste tesi aveva ragione di essere effettivamente avvalorata: Regeni non si drogava, era eterosessuale ed aveva ferite tali che contrastavano palesemente la tesi dell’incidente stradale.

Anche l’uccisione, un mese dopo il ritrovamento del corpo, di 4 uomini poi accusati di aver ucciso Regeni (ed il ritrovamento concomitante degli effetti personali del ricercatore, mischiati ad altri oggetti non suoi e presumibilmente finalizzati a creare un quadro di depistaggio) sarebbe stata una pista falsa. In seguito lo stesso Procuratore de Il Cairo ha smentito che la banda abbia avuto un ruolo nell’omicidio di Regeni.

Il governo italiano ha sostenuto dall’inizio una posizione sfaccettata nei confronti del caso. Il 5 aprile 2016 Paolo Gentiloni, allora ministro degli esteri, ha ufficialmente criticato l’approccio alle indagini e alle perizie delle autorità egiziane, giudicando carente il dossier consegnato da Il Cairo e criticando le modalità di collaborazione delle autorità: ad esempio, i tabulati telefonici sono stati consegnati alle autorità italiane solo nel settembre del 2016.

Critiche al governo italiano

Al contempo, la famiglia Regeni ha spesso criticato le azioni del governo italiano, che spesso è stata accusata di non aver effettuato mosse incisive nei confronti dell’Egitto. Se ad esempio nel 2016 il governo italiano aveva deciso di agire in maniera forte, ritirando l’ambasciatore italiano a Il Cairo, questo era poi tornato in sede due anni dopo, manifestando in realtà una distensione dei rapporti ed un messaggio del tutto differente dalle intenzioni iniziali. 

L’esposto dei Regeni contro il governo italiano

Paola Deffendi e Claudio Regeni, che in questi anni non hanno mai smesso di lottare alacremente nel gennaio 2021 hanno dichiarato che faranno un esposto contro il governo italiano, per via della vendita di armi a Il Cairo da parte dell’Italia, mai interrotta. La coppia ha infatti dichiarato durante una puntata di Propaganda Live: “Assieme alla nostra legale abbiamo predisposto un esposto contro il governo italiano per violazione della legge 185/90 che vieta l’esportazione di armi verso Paesi i cui governi sono corresponsabili di gran violazioni dei diritti umani, accertati da competenti organi dell’Unione Europea, dell’Onu e del Consiglio d’Europa. Il governo egiziano rientra certamente tra quelli che si sono macchiati di gravi violazioni dei diritti umani”.

Ultimo Aggiornamento: 25/01/2021 10:46