Vai al contenuto

Quando lavoro e competenze non coincidono, una storia sempre più italiana

Pubblicato: 17/02/2021 12:53

Studiare per 4 o 5 anni all’università, passare tutti gli esami, sudare sui libri immaginando che questo valga un salario domani più alto di quello che ci si aspetterebbe se ci si fosse fermati al diploma. E poi stage, decine di CV inviati e di colloqui sostenuti per poi ritrovarsi a svolgere una mansione che non corrisponde a ciò che si è studiato e che per di più sarebbe potuta essere svolta anche solo fermandosi alle scuole superiori.

Quante volte è capitato? È la storia di molti lavoratori, in Italia, in Europa e non solo.

Si tratta del destino di un pezzo di società e capita tanto più spesso quanto più all’aumento del numero di istruiti non corrisponde una vera crescita dell’economia, della produttività, della necessità di competenze avanzate. Che queste siano utilizzabili in quelle industrie e in quei servizi avanzati che la crescita consente di nascere, o che si tratti di quei posti nell’ambito della cultura, dell’insegnamento, dello spettacolo che il surplus di un’economia forte inevitabilmente produce.

E se a Cuba vi è la versione estrema di questo problema, con le guide per turisti con un dottorato in fisica, anche in Italia nel corso degli anni vi è stato un incremento del fenomeno.

Che in realtà una volta non era così rilevante. Ma per motivi non confortanti.

Tra la popolazione generale meno sovraqualificati che altrove a causa dei pochi laureati

Si definiscono sovraqualificati coloro che hanno un titolo universitario come la laurea o uno addirittura superiore e svolgono una mansione per cui tale titolo non è ritenuta necessario, secondo la classificazione internazionale delle occupazioni ISCO (International Standard Classification of Occupations). Che si tratti di operai, commessi, lavoratori nell’agricoltura o nella ristorazione, magazzinieri e molti ancora. 

È una definizione ovviamente arbitraria ma ha il pregio di essere standard.

E in base a questa sono il 20,2% gli italiani laureati in tale condizione. Un valore inferiore a quello medio della UE, del 21,9%. E per una volta ci distinguiamo da Spagna e Grecia, economie mediterranee con cui spesso condividiamo simili destini. 

Solo in Germania tra i grandi Paesi i sovraqualificati sono meno, il 18,2%.

Il motivo però è che semplicemente ci sono pochi laureati, anche tra chi ha un lavoro. Sono solo il 23,3% se consideriamo chi ha tra i 15 e i 64 anni, contro il 34,5% medio europeo, e il 43,8% della Spagna. 

È chiaro che essendo così pochi è statisticamente meno probabile che uno di loro sia coinvolto in una mansione per cui non ha studiato, per cui vi è ampia scelta di lavoratori con diploma o licenza media. 

E tuttavia è rilevante il fatto che la percentuale di sovraqualificati è aumentata più che altrove nel corso degli anni, del 5,1% tra il 2008 e il 2019, contro un incremento medio europeo appena dell’1,5%. Guarda caso in concomitanza con un importante aumento dei laureati italiani.

20-64enni sovraqualificati (dati Eurostat, elaborazione Momento Finanza)
20-64enni sovraqualificati (Dati Eurostat, elaborazione di Momento Finanza)

Un problema che riguarda molto di più i giovani

E infatti se si considerano solo i più giovani, ovvero quelli che si sono laureati negli ultimi 10 anni e hanno in media tra i 25 e i 34 anni ecco che l’Italia si ritrova in una posizione decisamente peggiore. Con il 27,23% di lavoratori di questa età che nonostante il titolo universitario svolgono un lavoro per cui basterebbero qualifiche inferiori. Mediamente nella UE sono il 24,72%, in Francia il 23,92%, in Germania solo il 18,66%, mentre in Spagna e in Grecia si arriva al 38,75% e al 48,01%.

La ragione è che vi sono più laureati in questa fascia di età, ed essendo questi aumentati senza che crescessero allo stesso tempo i posti di lavoro qualificati, una quota maggiore ha dovuto accontentarsi di posti di mansioni che qualificate non lo erano. 

Il dato è grave perché siamo balzati al di sopra della media europea senza che in realtà l’incremento dei laureati fosse così irresistibile. Basti pensare che tra tutti i 25-34enni questi sono comunque pochi rispetto al resto d’Europa, solo il 27,7%, contro il 39,4% medio. e per esempio il 42,4% greco. 

Viene da chiedersi, ma se i laureati tra i giovani italiani fossero tanti come in Grecia, quanti in più di oggi sarebbero sovraqualificati per il lavoro che fanno? Arriveremmo ai livelli greci, o magari li supereremmo?

Sovraqualificati tra i 25 e i 34 anni (dati Eurostat, elaborazione Momento Finanza)
Sovraqualificati tra i 25 e i 34 anni (Dati Eurostat, elaborazione di Momento Finanza)

Anche chi ha fatto studi di ingegneria è più interessato dal fenomeno

Non c’è solo un tema di lavoro troppo poco qualificato in proporzione agli studi fatti, ma anche uno di mismatch delle competenze. È quello che si verifica quando a prescindere dalla qualifica ricoperta il campo in cui si lavora non c’entra con ciò che è stato studiato.

Ovviamente i due temi si sovrappongono. Il laureato in chimica che fa il commesso in un negozio non sta solo facendo un lavoro meno qualificato, ma anche sconnesso dalle proprie competenze. Può capitare però che il laureato in chimica faccia il responsabile delle risorse umane in una multinazionale. 

In questo caso invece che di sovraqualificazione parliamo solo di mismatch. 

Fenomeno che in Italia è ancora più presente. E coinvolge il 34,2% dei diplomati e dei laureati tra i 15 e i 34 anni. In questo caso superiamo la media UE, del 28,1% e la percentuale che si riscontra in Grecia, del 28,9%, in Spagna, del 24,6%, in Germania, del 19,35. Solo in Francia tra i principali Paesi la quota di lavoratori in tale situazione è maggiore, del 34,9%.

Questo indicatore mette in evidenza quella che è una misallocazione delle risorse, uno spreco, da parte delle famiglie e soprattutto dello Stato, che hanno impegnato fondi per l’acquisizione di competenze poi non spese. E magari uno sforzo maggiore da parte delle imprese nel formare un dipendente per mansioni per cui non è preparato.

Ed è singolare il fatto che il campo in cui questi mismatch è maggiore è quello degli studi di ingegneria e dei lavori connessi. Ovvero il 43,8% di coloro che lavorano in tale ambito in realtà non hanno fatto studi collegati. 

Anche qui superiamo oltre al dato complessivo italiano anche quello medio europeo e della maggior parte dei Paesi. Ed è probabilmente un indicatore di come proprio in ambito tecnico e scientifico vi sia il maggior problema sia di mancata utilizzazione delle competenze che di mancanza delle stesse in Italia

Mismatch tra lavoro e studi (Dati Eurostat sui 15-30enni, elaborazione di Momento Finanza)
Mismatch tra lavoro e studi (Dati Eurostat sui 15-30enni, elaborazione di Momento Finanza)

Il peso del mismatch delle competenze è rovesciato tutto sugli stranieri in Italia

I dati che gli statistici calcolano ed elaborano sono come sempre aggregati e includono soggetti del Nord e del Mezzogiorno, uomini e donne, italiani e stranieri residenti. 

Ma in realtà i fenomeni non interessano tutti allo stesso modo.

In questo caso per esempio è enorme la differenza tra quelli che riguardano gli stranieri e i cosiddetti autoctoni, coloro che sono nati nel Paese in questione.

Soprattutto nel nostro Paese. Anzi, potremmo dire che se fosse solo per coloro che sono nati in Italia da famiglie italiane il problema del mismatch tra studi, competenze e lavoro sarebbe minimo, minore di quello riscontrabile mediamente in Europa. Interessa infatti solo il 17,89% di loro, contro il 20,84% degli europei.

A fare la differenza gli stranieri, in particolare gli extracomunitari, tra cui coloro che che sono occupati in ambiti per cui non hanno studiato sono ben il 67,51%, tra le percentuali più alte nel Continente. La differenza questi e gli italiani è tra le più vaste.Ennesima dimostrazione di come in Italia non si sia riusciti ad attrarre immigrazione “di qualità”, con competenze, e che anzi questa serva come ammortizzatore per trovare risorse umane per quelle professioni poco qualificate che nella nostra economia sono ancora così richieste, più che altrove, a causa della scarsa produttività del sistema, e che non incontrano le preferenze degli italiani stessi.