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Transizione ecologica: come dovrebbe essere e ancora non è

Pubblicato: 02/03/2021 15:50

Fino ad oggi, più che obbligatorio il condizionale sull’efficacia dell’ennesimo ministero – quello della cosiddetta transizione ecologica – creato ad hoc per permettere all’odierno esecutivo di Mario Draghi di guadagnarsi l’appoggio di una parte della compagine parlamentare M5S.

Vittorio Ferri, già docente presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca e  l’Università di Pavia, attualmente presso l’Università IUAV di Venezia, esperto di economia pubblica, politiche pubbliche, pianificazione del territorio e dell’ambiente, offre qui una visione di come “dovrebbe essere” e di come, purtroppo, ancora “non è”. Quel che è certo, invece, è che proprio l’esecutivo guidato dall’ex vertice della Bce si è appesantito subito ai blocchi di partenza, procurandosi una zavorra ulteriore di apparato burocratico, e non certo favorendo il tanto decantato snellimento delle già intricate filiere che gravano sull’efficienza della PA (Pubblica Amministrazione).

Draghi e le competenze del nuovo ministero

Scusi Ferri: non le sembra che Mario Draghi – uomo pragmatico per eccellenza – sia stato costretto a moltiplicare competenze con la creazione di questo ministero, contribuendo così solo ad ingrossare ulteriormente la filiera decisionale della PA?

Difficile rispondere oggi alla sua domanda. Per me, la questione di questo nuovo ministero può essere interessante, almeno per le prospettive che potrebbe offrire verso un’innovazione delle politiche ambientali.

Potrebbe? Perché usa il condizionale?

Perché, al momento, questo ministero è un po’ un grande contenitore; non sappiamo da quali dipartimenti sarà formato, quali deleghe avrà, se saranno mantenute o saranno eliminate le sovrapposizioni con altri dicasteri.

Quali?

In teoria, ritengo si tratti dello Sviluppo economico, dei Trasporti, dell’Ambiente, dell’Agricoltura e di chiunque tratti il tema dell’Energia.

Un bell’incrocio di competenze ultra-distribuite…

Infatti. C’è da capire quale ruolo avrà nell’orientare risorse ed investimenti anche del Pnrr (Programma nazionale di Ripresa e Resilienza), un’opportunità che non possiamo permetterci di sprecare. Quel che è possibile dire è che il neoministro è noto per pragmatismo; sarà però determinante capire quale sarà l’approccio utilizzato, nel contesto dell’odierna fase economica segnata da una profonda crisi.

Una transizione ecologica rispettosa dell’economia

Cosa pensa in questo senso?

Da parte mia ritengo sia bene lasciar perdere le questioni della “decrescita felice” e puntare in maniera chiara alla prospettiva di crescita economica. Senza dubbio, è desiderabile una transizione ecologica rispettosa dello sviluppo economico esistente, della sua base produttiva, dei distretti della manifattura, verso un’organizzazione delle imprese che riduca le esternalità negative sull’ambiente. Inoltre, è desiderabile una transizione non imposta dall’alto.

Cosa intende con “non imposta dall’alto”?

Intendo non imposta dalle burocrazie. Serve una transizione condivisa dal basso: per accompagnare le imprese, non per mandarle in crisi, in raccordo con le azioni dei governi locali.

Il ruolo del Cipess

Bene. Come la mettiamo, però, con l’ulteriore cabina di regia che, dal 1° gennaio scorso, è stata creata trasformando il Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) in Cipess (Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile)? Quella filiera decisionale non si somma al neo-ministero della transizione ecologica? Insomma, il Cipess non è nato già per assumere il ruolo di coordinamento per lo sviluppo sostenibile ed ecologico?

A mio avviso sì; non a caso nasce per aggiungere e puntualizzare le competenze del Cipe, importante struttura costituita ed implementata nei decenni scorsi, quando i ministeri economici erano numerosi. Ora, invece, in questo senso il ruolo centrale è quello del Mef (Ministero dell’economia e delle finanze, che ha assorbito altri ministeri) e della presidenza del Consiglio dei ministri.

Quindi, ribadendo la domanda, il Cipess è già cabina di regia?

Sì. Dal 1° gennaio scorso, il Cipess ha tutte le competenze in materia di valutazione dei progetti, degli investimenti, di assegnazione delle risorse e di programmazione economica: vero tema, quest’ultimo, che è del tutto scomparso.

“Del tutto scomparso”? Perché?

Perché, negli ultimi anni, abbiamo guardato sempre più agli annunci di breve periodo, senza nemmeno immaginare una programmazione di lungo periodo, prospettiva che è invece richiesta per l’assegnazione dei fondi comunitari, oltreché metodo di una buona spesa pubblica d’investimento: quella che un tempo era definita programmazione poliennale della spesa pubblica.

Quindi si vuole trovare la soluzione a tale mancanza fondando un ennesimo ministero?

Arduo risponderle sì. Possiamo però vedere l’esperienza di un dicastero come questo in un altro Paese: ad esempio in Francia. Lì abbiamo avuto un’evoluzione della formula legata al ministero dell’Ambiente che, ricordo, è stato attivato addirittura nel 1971. Ecco, da allora, l’evoluzione di decenni ha condotto l’approccio iniziale all’ambiente verso la qualità della vita, lo sviluppo sostenibile, i trasporti, l’edilizia abitativa. Tanto per essere chiari, l’odierna ministra in carica, Barbara Pompili, è stata Segretario di Stato alla biodiversità.

Transizione ecologica: l’esperienza francese

Mi sembra che l’esperienza francese sia lontana anni luce da quella nostrana…

Certamente la Francia ha da sempre avuto una particolare attenzione alla questione energetica – al punto da vantare un’importante componente nucleare – e alla questione dei trasporti. Faccio un esempio. Il principale provvedimento del ministero francese della transizione ecologica è stata una legge sulla mobilità. Obiettivo, rendere i trasporti di ogni giorno e quelli per i pendolari più efficienti, meno costosi, più puliti. Sulla base di tale impostazione, dunque, sono stati stanziati investimenti significativi, volti al trasporto quotidiano piuttosto che a nuovi grandi progetti, individuando come prioritario lo sviluppo della rete ferroviaria, non solo l’alta velocità, che ha escluso dal servizio molti territori.

Per sviluppare una simile progettualità, è possibile desumere la differenza delle filiere decisionali tra Francia e Italia?

La Francia ha un assetto centralista, con un’organizzazione decentralizzata molto complessa. Quindi, c’è un ruolo molto forte dello Stato, che veste sempre i panni di protagonista e costruttore di strategie. Inoltre, si attua una programmazione di carattere indicativo, anche per sostenere dal centro le attività economiche, così come la crescita e lo sviluppo industriale.

Perfetto. Se si volesse comunque immaginare l’attuazione di un piano trasporti come quello francese, è credibile ritenere che in Italia servirebbero non pochi passaggi? Tanto per elencarne alcuni, tra le competenze di Infrastrutture, Ambiente, Sviluppo economico, Conferenza Stato-Regioni, Cipess.

Sì, ecco perché – come dicevo all’inizio – dobbiamo capire come sarà configurato questo nuovo ministero, quali competenze e deleghe assumerà, compreso quale potere della borsa, quale potere di spesa, quale potere di indirizzo degli investimenti. È chiaro che, se si vuole dare forza a questo tipo di struttura, altri dovranno rinunciare a più di qualcosa. Le faccio un ultimo esempio. Sarebbe interessante capire cosa accadrà per quel che riguarda il regionalismo differenziato: rammento che le richieste, soprattutto di Veneto e Lombardia, sono sinora state legate a tutte le materie rese disponibili dalla Costituzione. Le sembra poco?

Ultimo Aggiornamento: 03/03/2021 21:03