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Il vuoto logistico e la campagna vaccinale

Pubblicato: 16/03/2021 10:05

Vaccinare, vaccinare, vaccinare: ovunque, sempre. In veste di leader dell’Esecutivo, brilla il pragmatismo dell’ex Bce Mario Draghi: “Il nostro obiettivo, in accordo con il ministro della Salute, Roberto Speranza, il capo della Protezione Civile, Fabrizio Curcio, e il Commissario straordinario all’emergenza, generale Francesco Paolo Figliuolo, è quello di utilizzare tutti gli spazi utili disponibili”.

Così, la scorsa settimana, Draghi avverte di voler puntare al fine, perseguendolo “non solo negli ospedali ma anche nelle aziende, nelle palestre e nei parcheggi”. Indica così la nuova filiera di responsabilità, pronto all’ingaggio per affrontare ciò che appare la priorità delle priorità. Fine nobile, necessario, fine che c’è: sì, ma i mezzi?

Logistica: the lost Italian word

Per rispondere al quesito, giova riesumare una parola smarrita dal know-how di gran parte della classe dirigente italiana: logistica. Sì, perché chiamata in causa al cospetto di una semi-planetaria campagna vaccinale, essa sfiocca in almeno tre sequenze (logistiche, appunto): quella del vaccino, quella dei vaccinandi, quella dei vaccinatori.

Affrontare tali sequenze significa capire che questa è un’operazione industriale, cioè un’operazione che si regge su economie di scala: più si allarga il centro di somministrazione, più si riducono tutte le possibili variabili.

Bella grana per l’esperto di logistica militare Figliuolo, che ora non può però permettersi certe raffinatezze ed è alle prese con roba più semplice, tipo la distribuzione nel cosiddetto “ultimo miglio”, un problemino che rischia di tradursi in incubo, sempre se intenda operare nel rispetto delle normative tutte.

Allora: quali le ragioni di tanta approssimazione? Tra le tante, la più solida: la sostanziale inazione delle filiere decisionali precedenti, dagli esecutivi agli apparati burocratici.

Nonostante tutto, “faremo così”: pare

Per l’occasione, comunque, ecco d’un tratto il piano Draghi, affiorato nell’ultimo weekend. Governance centralistica, esecuzione decentrata, catena di controllo snella. Distribuzione “efficace e puntuale” dei vaccini, ed incremento delle somministrazioni giornaliere.

Imperativo: portarsi a quota 500mila somministrazioni quotidiane su base nazionale, raggiungendo entro settembre almeno l’80% della popolazione. Conti alla mano, ciò significa triplicare il numero medio/giorno di punture sinora effettuate, ovvero 170mila.

Tanti denti, poco pane

7,9mln le dosi sinora approvvigionate che – si promette – raddoppieranno entro le prossime tre settimane. Entro giugno, si auspica di stipare ulteriori 52mln di dosi, mentre altre 84mln si attendono per ottobre.

Spazio anche per una riserva di vaccini, circa l’1,5%, oltre che per un monitoraggio costante dei fabbisogni, per interventi “mirati, selettivi e puntiformi sulla base degli scostamenti dalla pianificazione”, per un’operatività servile al principio del “punto di accumulo”, focalizzando necessità di aree cluster.

In sintesi, queste le odierne intenzioni; non lontane da quanto accennato anche dallo scorso Esecutivo e che, purtroppo, ancora non illustrano il “come”.

Campagna vaccinale, la Waterloo europea

Bene, se questa è la nuova governance nazionale, necessario inserirla in un contesto ormai noto.

Sul piano internazionale, la prima evidenza: persino la sola intenzione di disporre campagne di vaccinazione a tappeto ha conclamato il clamoroso flop delle filiere europee. Al contrario, la Brexit Strategy UK segna un vantaggio di oltre il 30% delle punture effettuate, seguita dal nuovo corso bideniano che con un balzo mette il turbo agli Usa, proiettando al 20% la quota a stelle e strisce. Il confronto con il Vecchio Continente è impietoso: la Ue resta sotto la tacca dell’8%.

Il miraggio Ue: paghi 3 prendi 1

Vien da pensare ad alcuni mesi fa quando, ancora nel 2020, la Commissione europea si intesta la gestione di due skill fondamentali: la firma dei contratti con le case farmaceutiche e la distribuzione dei vaccini all’interno dei confini continentali.

Pur latitando il pedigree di fattrice di razza, nell’opera di sintesi economico-politica tra gli Stati membri, la Commissione Ue si arroga così un compito non alla propria portata, inverosimile su diversi piani: da quello organizzativo a quello giuridico, da quello esecutivo a quello politico.

Un dato per tutti? La quasi totale assenza di elementi d’impugnabilità, conseguita dalle aziende farmaceutiche, nei laschi contratti stipulati; da qui l’unilaterale ed ampia praticabilità d’imporre agli Stati europei un’autoriduzione produttiva dei vaccini.

Risultato: carenza patologica di ciò che serve e che si è ormai pagato per intero. Secondo alcuni, dicesi “ritardo delle disponibilità”: ma pattuite, no?

Italian strategy? Franco destino, e al resto ci pensino i militari

Certo, non si scopre ora quanto l’area Ue non possegga industrie locali, di prossimità, in grado di produrre vaccini. Unica eccezione la tedesca BioNTech, partner di Pfizer nell’avventura Covid-19, che per il business si è in larga parte rivolta al fabbisogno della potenza statunitense.

L’eredità di un’ammuffita impotenza italiana è al contempo piombata anche sugli ultimi locatari – freschi o meno – di Palazzo Chigi. Un po’ come quando, all’apertura del plico dell’ultimo rampollo dipartito, si prende atto che i beni in verità son debiti, ed urge rigettare il dono testamentario, per evitare di franare in cordata col caro estinto.

Fuor da metafora, l’Italian strategy di oggi è figlia di quanto trovato nel plico di quelli di ieri (in larga parte ancora sopravvissuti). Gli stessi che, proprio a proposito del contratto con Pfizer, hanno semplicemente preso atto e accettato la clausola franco-destino, non immaginandone le conseguenze sotto il profilo logistico.

Oneri ben pagati, ma ad una sola azienda

Franco-destino è la clausola contrattuale relativa a documenti di trasporto e condizioni di consegna. Grazie ad essa, rischi e spese di spedizione sono a carico del fornitore fino alla meta (destino) della merce. Con il limite del lotto minimo, questo quanto stipulato con Pfizer.

Con questa chiave, le varie criticità disseminate lungo il percorso di distribuzione, a partire dalla sicurezza, sono state tradotte in oneri a carico di Pfizer. Tali oneri, naturalmente, sono inclusi nel prezzo che lo Stato italiano ha pagato a Pfizer, il cui vaccino resta tuttora il più caro, contrattato e acquistato a livello europeo, per un totale complessivo di ben oltre un miliardo di dosi per il mercato Ue. Quali le conseguenze di questa scelta?

Il virus della sottovalutazione logistica

Per dirla eufemisticamente, a fine 2020 Palazzo Chigi qualcosa “intuisce”, tant’è che costituisce un ‘tavolo’. L’esigenza parrebbe quella di ipotizzare una distribuzione capillare dei vaccini.

Si è a metà dicembre, ed il predecessore del generale Figliuolo, Domenico Arcuri, abbozza il piano seguente. Servono più di 200mln di dosi per l’Italia. Cinque tipologie di vaccini confluiranno in unico hub centrale, nell’aeroporto militare di Pratica di Mare. Secondo parametri di sicurezza, i vaccini saranno convogliati dalle Forze Armate verso 1500 hub di distribuzione locale, sparsi sul territorio.

Questa la bozza di un primo canale distributivo. Il secondo canale riguarda invece solo il vaccino Pfizer, più complicato da gestire, causa i parametri di conservazione a bassissime temperature. Quindi, si sceglie di delegare alla stessa Pfizer il trasporto, che avverrà in direzione di 300 punti ubicati sul territorio, individuati con le Regioni, per vaccinare circa 1 mln 700mila persone.

Riassumendo: fino ad un certo punto, il prodotto Pfizer è così già introdotto in una catena logistica. Gli altri prodotti, no. Queste due differenti catene logistiche, nelle fasi successive, evidenzieranno un problema: integrarsi.

Se questi sono i numeri, non serve un fisico dei sistemi complessi per capire quanto il piano logistico sarebbe dovuto diventare da mesi l’unica ossessione del Governo italiano. Invece? Ossessione zero, mentre la catena dei vaccini non-Pfizer resta tuttora un’incognita.

Poche, sparute intuizioni non bastano

Eppure, alcune intuizioni sembravano andare nella giusta direzione. Ad esempio, prevedere che il piano di vaccinazione a tappeto partisse a gennaio di quest’anno, con uno sviluppo in cinque trimestri. Peccato, però, che nessuno sciogliesse una criticità ardua, considerando tra l’altro il solo prodotto Pfizer.

Infatti, per portare il milione e 700mila vaccini in giro per 300 punti d’Italia, esperti del settore trasportistico avvertivano che lo sforzo avrebbe coinvolto un corrispondente di 84 bilici, ovvero 84 autoarticolati. Ma le Forze Armate – ci si chiedeva – posseggono il numero adeguato di mezzi in dotazione per trasportare i vaccini? Nessuna risposta.

Tramontano 2020 ed un esecutivo: un’alba incerta per il Piano

Da qui si muove il pragmatismo dell’ex Bce, Mario Draghi. Un pragmatismo ancora da valutare, tuttavia. Urge dimensionare le risorse necessarie, umane, strumentali, dalle unità mobili ai veicoli e, rammentando che l’intera operazione logistica è in mano alle Forze Armate, a queste chiedere la conta dei vettori e – meglio – anche la scelta dei vettori, che dovranno avere determinate caratteristiche secondo i diversi tipi di vaccino trasportati. Assente ancora l’iter attuativo per formazione e addestramento di chi sarà chiamato a contribuire alla filiera delle vaccinazioni.

Non in ultimo, poi, il grande nodo degli spazi da utilizzare, da quelli esterni all’ipotesi addirittura di palestre, luoghi che mettere in sicurezza sotto il profilo igienico-sanitario non sarà un gioco da ragazzi, visto che nulla hanno a che fare con la sanità e con normative che dovrebbero essere stringenti.

Nulla da dire sulla conservazione da -20° a -78°?

Garantire l’integrità dei vaccini significa stoccaggi a temperature fuori dal comune. La questione riguarda le pizze-fox, contenitori delle fialette. Da -20° a-78° gradi, c’è un mondo. Per i -20° è possibile gestire, pur prestando attenzione. Per i -78°, si passa a strumentazioni rare, su cui leader indiscussi sono Usa e Germania, almeno per quel che riguarda il contenitore.

La pizza-box contiene 195 fialette: ebbene, di pizze-box ce ne vorranno tantissime. Per questa ragione, sul tracciamento si dovrà affrontare il problema della temperatura, temperatura certamente registrabile a livello medio ma il cui rilievo segna un’impennata di costi se si volesse prenderla all’interno di ogni pizza-box: trattasi di sensori la cui tecnologia è esclusivamente aereospaziale.

Le pizze-box, autonome ma sensibili a sbalzi caldo/freddo

Le pizze-box sono autonome, per Pfizer con un’autonomia fino a 240 ore senza interventi esterni sull’involucro con anidride carbonica allo stato solido. In realtà, la media si aggira sulle 120 ore, ma quel che conta non è comunque la temperatura assoluta; vale lo sbalzo di temperatura rispetto alle condizioni esterne.

Proprio quelle condizioni che entrano in gioco non appena si affronta trasporto, stoccaggio ed utilizzo. Trattare materiale a -78° richiede interventi non manuali e un addestramento all’altezza, pena ustioni gravi. Non basta: il materiale, che arriva congelato, una volta diluito non deve essere agitato, pena la perdita delle proprietà. Chi lo sposta e lo usa, da chi e come sarà addestrato?

Quanto scotta l’ultimo miglio

Si è parlato tanto di unità mobili, in grado di raggiungere i vaccinandi. Le unità mobili, però, non sono solo logistica ma anche somministrazione. Si è ipotizzato dovessero partire da 300 punti, individuati sull’intero territorio nazionale, diretti verso centri come le Rsa minori.

Dato che le Rsa sono state considerate target prioritario, sia come dipendenti che come ospiti, doveroso presumere che siano tantissime, piccole, probabilmente raggiungibili da semplici autoambulanze e non da camion. Come allestire questi mezzi?

Oltre alla transizione ecologica, che si fa coi rifiuti?

Sinora, infine, silenzio assordante sulla iperproduzione di rifiuti speciali che scaturiranno dall’operazione vaccinazioni. Forse c’è chi pensa che negli ospedali, o in altre strutture sanitarie, rassicurino gli spazi dedicati allo scopo. Tuttavia, chi lo pensa forse non ha fatto i dovuti conti, e lascia comunque irrisolto un gap estremamente grave per le altre strutture, non sanitarie, che s’intende utilizzare.

Tra le tante cifre fornite in questi mesi, si è misurato in un miliardo l’entità del numero di siringhe che potrebbero entrare in gioco. Un carico – a quanto pare – snobbato dalle istituzioni, ma che fa gola a non poche congreghe delinquenziali. Casomai qualcuno si sia distratto, utile sapere che in questa fase il prezzo dei polimeri – vedi al termine plastica – ha segnato un +70%. Che tipo di transizione si attende in merito?

Foto in alto: Shutterstock

Ultimo Aggiornamento: 18/03/2021 11:15