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Fine del blocco dei licenziamenti? È cosa buona e giusta

Pubblicato: 08/06/2021 08:37

I sindacati evocano – con parole esagitate – lo scoppio di “una bomba sociale” nel momento in cui il governo sbloccherà (il 30 giugno) per le imprese la facoltà di procedere a licenziamenti, cosa apparentemente non fattibile nei mesi della pandemia.

In realtà, in Italia i licenziamenti sono avvenuti ugualmente. Se si osservano i dati del Ministero del Lavoro nel 2020 sono 558mila le persone che hanno perso il lavoro a causa di un licenziamento (nel 2018 erano 875mila e nel 2019 866mila). E altrettanti sono stati i lavoratori a termine a cui non è stato rinnovato il contratto.

Nelle Considerazioni finali della Banca d’Italia emerge come siano stati gli under-35 i soggetti più penalizzati durante la crisi. Osservando i tassi di partecipazione, di disoccupazione e le probabilità di transizione tra i diversi stati occupazionali, si osserva come siano i giovani a passare con maggior facilità da occupato a disoccupato o inattivo.

Lavoro in Italia: costi troppo alti e precariato

Il mercato del lavoro italiano è ancora fondato su logiche novecentesche. Esistono tutele massime per i lavoratori a tempo indeterminato e pochissimi diritti per i lavoratori a termine o per le imprese che, a causa dell’altissimo costo del lavoro, preferiscono non assumere. E tutto questo incentiva un sistema basato su costi alti e sul precariato.

Come uscirne? Con un sistema di ammortizzatori sociali universali, che garantiscono tutele per tutti.

Welfare inefficace e inefficiente

Questo sistema di welfare assolutamente inefficace e inefficiente prevede la tutela del posto di lavoro (anche quando non c’è più perché l’azienda chiude i battenti) quando, invece, andrebbe tutelato il lavoratore. Oggi il sussidio è legato ad uno specifico posto di lavoro. Invece il sussidio di disoccupazione deve andare al lavoratore, maggior ragione se quel posto non esisterà più. Non esiste congelare la realtà, che per sua natura è in continuo mutamento.

Occorre viceversa pensare e strutturare un sistema di formazione che orienti il lavoratore e lo formi per una prossima occupazione.

Il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco nelle Considerazione finali lette il 31 maggio scrive: “Una delle principali questioni che si porranno riguarderà le condizioni per facilitare il reimpiego dei lavoratori attualmente occupati nelle attività destinate a ridimensionarsi… Siamo ancora lontani dalla definizione di un moderno sistema di politiche attive: in Italia un disoccupato su dieci riceve assistenza attraverso un centro per l’impiego, contro sette su dieci in Germania”.

Blocco dei licenziamenti: se si insiste si ferma ogni cambiamento

Se si insistesse sul blocco dei licenziamenti, verrebbe meno il fondamentale processo di riallocazione dei lavoratori dalle imprese decotte a quelle presenti nei settori innovativi e dotate di alta competitività. Così facendo si bloccherebbe ogni cambiamento.

Non siamo più nel ‘900 quando un lavoratore passava 30 anni nella stessa azienda, per poi andare in pensione a 50 anni. Oggi è necessario avere un approccio di life long learning, ossia di formazione continua durante l’intero arco della vita. Non si finisce mai di imparare, dice il noto proverbio. Maggior ragione in questo nuovo millennio, chi smette di studiare è perduto.

Il lavoro c’è, ma le imprese cercano persone e non le trovano

Si sente dire: “Il lavoro non c’è”. Non è vero. Come scrive da anni il giuslavorista Pietro Ichino, il lavoro c’è ma le imprese cercano persone con delle specializzazioni non reperibili: ingegneri del software, tecnici, informatici, analisti dei dati, statistici, addetti alle vendite, macchinisti che regolano i processi produttivi, professionisti ICT.

Abbiamo nel nostro Paese un incredibile mismatch tra domanda e offerta. Manca un sano orientamento verso gli studenti che non conoscono affatto il mondo dell’impresa, considerato un mondo di alieni.

Maggiori tutele per giovani e donne

L’altra osservazione che si fa è che “mancano i soldi”. È chiaro che se il nostro welfare si è sempre basato sulle pensioni – anticipate, baby, o prepensionamenti – non rimangono risorse per un altro welfare, che tuteli i giovani e le donne lavoratrici, che abbiano figli o meno. Occorre invertire le priorità, altrimenti la partecipazione al mercato del lavoro sarà sempre bassa. Per vincere la sfida della crescita, l’autorevole voce della Banca d’Italia impersonata da Visco ha ribadito l’essenzialità di un’ampia partecipazione del maggior numero di soggetti possibile.