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Iva e Irpef al centro della riforma fiscale di Mario Draghi: cosa cambia per il cittadino

Pubblicato: 08/10/2021 15:36

Prologo. Siamo nel 2020, l’Italia è in seria difficoltà. Il Covid ha attaccato un Paese dalle “strutture fragili e dalla passionalità intensa” (Aldo Moro, cit.). La compagine ministeriale lascia a desiderare, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si barcamena in modo democristiano, il piano vaccinale stenta, i gazebo a forma di cuore – le primule – fanno fatica a realizzarsi, il commissario Domenico Arcuri non sa che pesci pigliare.

Febbraio 2021. Grazie a una mossa politicamente perfetta, Matteo Renzi fa venir meno la maggioranza parlamentare; il presidente della Repubblica Sergio Mattarella invece di chiamare nuove elezioni, come suo diritto, convoca il professor Mario Draghi – persona capacissima e stimata in tutto il mondo con un passato al Ministero del Tesoro, alla Banca d’Italia e alla Banca centrale europea, dove di fatto ha salvato l’euro (tutti ricordano il suo intervento a Londra nel luglio 2012 con il motto “whatever it takes”) e gli conferisce l’incarico di formare un nuovo governo (che otterrà la fiducia il 18 febbraio 2021).

Il Recovery Plan europeo – creato provvidenzialmente dalle autorità europee durante il Covid – ha portato grandi vantaggi all’economia italiana, che ha un gran bisogno di riforme e di capitali.

Piano di Ripresa e Resilienza: cosa deve fare l’Italia per ricevere i soldi

Il Piano di Ripresa e ResilienzaPNNR – è stato costruito in modo condizionale. Significa che per prendere i finanziamenti – a fondo perduto o a tassi favorevoli – noi italiani dobbiamo portare a termine delle riforme nei settori dove le cose funzionano male, quindi nell’ambito, per esempio di giustizia, concorrenza e tassazione.

Con questi caveat, Mario Draghi impone agli alleati di governo – anche i recalcitranti come Matteo Salvini della Lega – un percorso a tappe forzate. Dopo aver approvato – grazie al lavoro fattivo della ministra Marta Cartabia – il piano per accelerare i processi della giustizia civile, Draghi si sta impegnando per riformare il sistema tributario. Per realizzarlo, il governo ha presentato in Parlamento una legge delega, che prevede diversi piani di azione:

  1. Riforma dell’imposizione diretta per le persone fisiche (Irpef);
  2. Rivisitazione delle aliquote Iva, frastagliate e quanto mai disomogenee;
  3. Aggiornamento delle rendite catastali.

Irpef: l’imposta sui redditi delle persone fisiche

L’imposta sul reddito delle persone fisiche pesa doppiamente sull’economia italiana: in primo luogo sulle persone, riducendo gli stipendi netti, in secondo luogo sulle aziende, incidendo sul costo del lavoro. Per favorire la crescita quindi si intende ridurre questa imposta. In particolare il governo mira a ridurre il carico fiscale sulla classe media, su coloro – che ricadono nel terzo scaglione – che hanno un reddito annuo tra i 28.000 e i 55mila euro. Visto che l’Irpef è un’imposta progressiva (l’aliquota aumenta con l’aumentare del reddito, secondo il dettato costituzionale dell’articolo 53) coloro che percepiscono tra i 28.000 e i 55.000 euro di reddito pagano un’aliquota Irpef del 38% contro il 27% dello scaglione inferiore. Ridurre il peso delle imposte sul terzo scaglione aumenterebbe la ricchezza delle classi medie, che potrebbero destinare il reddito disponibile marginale per maggiori consumi.

Il consigliere economico di Draghi, Francesco Giavazzi – una vita da docente di economia tra la Bocconi e il Mit (Massachusetts Institute of Technology) di Boston – già nel lontano 2004 stigmatizzava l’alta imposizione sul lavoro: “In Italia chi possiede dieci appartamenti, e vive di rendita, paga imposte sulla base del valore catastale degli immobili, quindi quasi nulla. Il problema riguarda anche la tassazione dei titoli pubblici, ferma al 12,5%. Spostare la tassazione dal lavoro alla rendita è non solo una questione di giustizia fiscale, incentiverebbe anche a investire in attività produttive anziché in immobili”.

l’Iva: la più amata e odiata dagli italiani

La tassazione che colpisce i consumatori finali attraverso l’imposta sul valore aggiunto (IVA) è quanto mai affetta da distorsioni particolaristiche. Alcune lobby nel tempo sono riuscite a ottenere delle aliquote più basse (cosiddette agevolate). È da tempo che l’Europa invoca una maggiore coerenza con le aliquote applicate nel resto dell’Unione Europea.

Oggi abbiamo l’aliquota ordinaria al 22% e numerose aliquote ridotte al 4%, 5%, e 10%. Secondo la direttiva UE sull’Iva gli stati membri applicano un’aliquota ordinaria non inferiore al 15%, e possono applicare aliquote ridotte (non inferiori al 5%) solo per beni e servizi elencati in dettaglio. Al di là delle aliquote che verranno stabilite, è importante che si effettuino maggiori controlli al fine di ridurre l’ancora alta evasione fiscale. Meno evasione significa meno tasse per tutti.