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Olimpiadi, sesso biologico e identità di genere: cosa deve subire unə atleta transgender che vuole gareggiare

Pubblicato: 20/01/2022 08:31

Partecipare alle Olimpiadi, se sei transgender, finora ha significato andare incontro a esami inopportuni, poco rispetto per la privacy personale ed una serie di reazioni da parte dell’opinione pubblica -nonché da parte degli altri atleti- decisamente inaccettabile. Da molti anni il Comitato Olimpico Internazionale si pone il quesito di come includere e gestire, in modo conforme alle loro volontà e necessità, atletə transgender. In effetti, da quando un numero relativamente alto di atleti transgender o non-binari avevano cominciato a chiedere di partecipare alle competizioni olimpiche nelle categorie di sesso alle quali sentivano di appartenere, sono nati dibattiti su quanto ciò potesse avvantaggiare o svantaggiare gli/le stessə atletə nella competizione.

Di recente, il CIO ha stabilito nuove linee guida che entreranno in vigore dopo le Olimpiadi invernali di Pechino e che puntano a creare un ambiente di inclusione e non discriminazione per ogni atleta. Questo passo, che porta con sé la speranza di un approccio più illuminato sul tema, arriva comunque dopo che, per anni, si è deciso di avere nei confronti deə atletə transgender un approccio che andava dallo scettico al contrario, dando per scontato, paradossalmente, che un maschio che avesse ultimato la transizione diventato femmina potesse addirittura avere dei vantaggi sportivi gareggiando con altre donne -ignorando le mille difficoltà fisiche, psicologiche e sociali che un percorso del genere comporta, prima, dopo e durante.

Olimpiadi di Tokyo: le prime atlete transgender

Le Olimpiadi di Tokyo hanno portato un’attesa novità per la comunità transgender. Ben 3 atlete transgender hanno infatti partecipato alle competizioni olimpiche: la loro inclusione alle gare ha provocato un acceso dibattito, tra chi le sosteneva apertamente e chi invece si chiedeva se le caratteristiche fisiche e biologiche derivanti dal sesso biologico non fossero un vantaggio a livello agonistico.

Nel 2015 vi era stato un iniziale, ma tristemente parziale, passo in avanti in direzione inclusiva da parte del CIO: le atlete transgender che avevano effettuato una transizione male to female (da uomo a donna) avrebbero potuto partecipare alle competizioni a patto che la transizione fosse avvenuta da 4 anni e che il loro livello di testosterone fosse inferiore a 10 nanogrammi e che fosse rimasto tale per 12 mesi prima della competizione. Grazie a questa regola a Tokyo avevano potuto partecipare Laurel Hubbard, sollevatrice di pesi, Quinn, atleta della nazionale di calcio femminile del Canada, e Chelsea Style, atleta di BMX Freestyle. Fa comunque riflettere il fatto che esistano studi che chiariscono come, di per sé, la presenza di un alto tasso di testosterone non implichi per forza un’effettiva superiorità fisica, senza considerare che valutando il mero tasso ormonale non si faceva un discorso applicato in maniera opportuna su ogni disciplina olimpica, trattandole tutte, dal pattinaggio al sollevamento pesi, come se fossero la stessa cosa.

Laurel Hubbard: polemiche sulla partecipazione

Le polemiche -soprattutto da parte di altre atlete- erano arrivate in primis per la Hubbard: in molti avevano messo in dubbio che il fatto che la Hubbard avesse vissuto una pubertà maschile e potesse aver mantenuto alcune caratteristiche biologiche maschili non l’avrebbe avvantaggiata nelle gare. Addirittura qualcuno aveva ipotizzato che la sua partecipazione potesse dare l’imputato per una nuova tendenza, il cambio di genere finalizzato a partecipare in categorie con avversari -forse- più deboli. Tracey Lambrechs, atleta neozelandese, aveva dichiarato, come riportato dal Corriere della Sera: ”Siamo tutti a favore della parità di diritti, ma se un soggetto di 43 anni biologicamente maschio viene autorizzato a vincere le Olimpiadi quanti uomini in futuro cambieranno genere per rubare il podio a noi donne? Sarebbe più corretto assegnare due medaglie”.

Stupisce il fatto che il rifiuto ad un progresso in termini di inclusione spinga addirittura a pensare che qualcuno possa cambiare sesso in maniera definitiva, a vita -con tutto ciò di immensamente complesso e doloroso che comporta- solo per portare a casa una medaglia.

Anche Valentina Petrillo, prima atleta transgender azzurra, aveva commentato con Repubblica la partecipazione di Laurel Hubbard: “Se ripenso alle immagini di Laurel Hubbard a Tokyo provo immensa tenerezza. Ma la sua battaglia è stata importante, fondamentale”.

Atleti transgender: le nuove linee guida del CIO

Le nuove linee guida del CIO fanno un ulteriore balzo in avanti, in parte annullando quelle del 2015: non saranno più fatte analisi sul testosterone e test invasivi per determinare se un atleta debba gareggiare con un sesso anziché con un altro: saranno le federazioni nazionali ad occuparsi di gestire questo aspetto con gli atleti, coordinandosi con le linee guida del CIO, che puntano a creare un ambiente “sicuro ed accogliente per tutti“. In questo modo si vuole evitare il verificarsi di nuovi casi simili a quello di Caster Semenya, atleta a cui vennero trovati elevati livelli di testosterone ed alla quale fu chiesto di sottoporsi a cure ormonali per abbassarli (l’atleta si rifiutò e venne esclusa dalle competizioni). Oltretutto, diverse fonti riportano che vari studi scientifici non sono d’accordo sul fatto che un livello alto di testosterone porti un effettivo vantaggio in ogni competizione. Anche sulle nuove linee guida è intervenuta Petrillo, commentando: “Il valore di questa decisione è immenso, stabilisce finalmente un principio: gli/le atletə transgender hanno tutti i diritti a non essere “perquisitə“, indagatiə come fossero delinquentə, se hanno voglia di fare sport tra persone del sesso al quale sentono di appartenere. Le indagini mediche e soprattutto le domande alle quali eravamo costrette a rispondere ogni volta che dovevamo scendere in pista erano terribili, umilianti”.

Ora, forse, le persone non saranno più costrette a rendere conto della parte più sensibile e intima della loro natura umana, e chissà che questo possa portare molti atleti -che magari si erano rifiutati di sottostare a un gioco brutale e violante ed avevano rinunciato alla competizione- a poter ottenere una medaglia e la rivincita di una vita.