Samantha D’incà è morta due giorni fa. La donna di 30 anni originaria di Feltre (Belluno) era finita in coma vegetativo il 4 dicembre 2020, per via di complicazioni seguite ad un’operazione per la frattura del femore.
Da dicembre 2020 il padre si è battuto affinché si potesse mettere fine alle sofferenze di Samantha, che pur essendo in stato vegetativo continuava a provare dolore ed avere complicazioni cliniche. In seguito alla decisione del tribunale di Belluno ed alla constatazione da parte dei sanitari di un ulteriore aggravamento delle sue condizioni, è stato deciso di staccare le macchine che la tenevano in vita.
Samantha D’Inca, l’incidente: la frattura e l’infezione dopo l’operazione
Nel 2020, in seguito a una caduta nel vialetto di casa, Samantha D’Inca aveva riportato una frattura del femore, per la quale era stato necessario intervenire chirurgicamente. Si trattava di un’operazione di routine ma pochi giorni dopo l’intervento erano sorti i primi problemi; l’arto si era gonfiato ed il 4 dicembre, in seguito a un collasso, era finita in coma vegetativo. I medici avevano subito spiegato alla famiglia che non c’erano possibilità di ripresa e che, seppur in stato vegetativo, Samantha provava sofferenza. La famiglia sapeva che Samantha non avrebbe voluto vivere in quelle condizioni ma non esisteva un testamento biologico, il che rendeva difficile rivendicare la sua volontà. Il padre Giorgio aveva deciso di diventare amministratore di sostegno della figlia ma la nomina era arrivata solo il 10 novembre 2021, quasi un anno dopo l’entrata di Samantha in stato di coma.
Giorgio D’Inca: “La nostra bambina non c’è più, lasciatela andare”
La battaglia per arrivare allo spegnimento delle macchine è stata lunga e logorante. A novembre 2021 lo raccontava Giorgio D’Incà a Repubblica: “La sua vita non è più vita, è pura sofferenza, non avrebbe mai voluto un’esistenza così: in un letto di ospedale come in prigione, senza più coscienza, alimentata con una sonda, tormentata dai dolori. Ha trent’ anni e nessuna speranza di miglioramento. La nostra bambina non c’è più, lasciatela andare via”.
A novembre 2021 il tribunale di Belluno aveva stabilito che, senza un testamento biologico, era necessario tentare un nuovo percorso di riabilitazione, davanti al quale la famiglia rimaneva scettica. “Il massimo a cui Samy potrebbe arrivare, se mai la riabilitazione funzionasse, è la coscienza di un neonato di due mesi (…) Nemmeno questo sta succedendo. Nessun progresso. Nostra figlia soffre ogni giorno di più. I medici, i giudici devono ascoltarci”.
Alla fine, il tribunale aveva stabilito che il padre, in quanto amministratore di sostegno, poteva dare il suo consenso all’interruzione dei trattamenti, ma che sarebbero stati i sanitari a dire quando e se, in quanto ciò sarebbe stato possibile solo davanti ad un “severo aggravamento e una mancata risposta alle cure erogabili” o a “rischi di complicanze”. Negli scorsi giorni quell’aggravamento era avvenuto ed i sanitari hanno dato l’ok a staccare i macchinari.