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Primo Levi, vita e prigionia dello scrittore ebreo sopravvissuto ad Auschwitz autore di “Se questo è un uomo”

Pubblicato: 11/04/2022 08:06

Primo Levi è stato fu uno dei più grandi scrittori di origini ebraiche, morto nella sua Torino esattamente 35 anni fa. Autore di Se questo è un uomo, viene ricordato oggi soprattutto per essere stato testimone delle deportazioni nei lager nazisti di Hitler durante la Seconda Guerra Mondiale. Ha raccontato questa orribile esperienza nelle sue memorabili opere.

Primo Levi, la storia del partigiano ebreo sopravvissuto all’Olocausto

Primo Levi è nato il 31 luglio 1919 a Torino, da una famiglia di origine ebraica i cui antenati provenivano da Spagna e Provenza. Sin dagli anni al Ginnasio D’Azeglio di Torino, Levi ha dimostrato di essere un eccellente studente, uno dei migliori della classe. Curiosamente, nonostante sia passato alla storia come un celebre scrittore, la sua predilezione era per le materie scientifiche e non letterarie – tanto da essere stato addirittura rimandato in italiano prima della maturità. Dopo il liceo ha frequentato il corso di laurea in chimica all’Università di Torino. Gli anni del fascismo hanno stravolto la sua famiglia: il padre, pur ebreo, si è dovuto iscrivere al partito fascista, Primo Levi invece è diventato un balilla. Durante gli anni della guerra è riuscito a lavorare clandestinamente come chimico, ma dopo l’Armistizio del 1943 e l’occupazione nazista, Levi è stato costretto a rifugiarsi sulle montagne sopra Aosta, unendosi ad altri partigiani.

La prigionia di Primo Levi: gli anni di Auschwitz e la liberazione

Levi, dopo essersi unito ai partigiani, è stato quasi subito catturato dalla milizia fascista. Il 13 dicembre del 1943 è stato deportato ad Auschwitz con il numero 174517: la prigionia è durata poco più di un anno, fino al 27 gennaio 1945, giorno in cui i soldati dell’Armata Rossa hanno abbattuto i cancelli del campo e liberato i prigionieri sopravvissuti allo sterminio. Viene così svelata al mondo intero il più atroce orrore della storia dell’umanità: la Shoah, di cui Primo Levi è stato diretto testimone.

Dalle testimonianze che ha lasciato, lo stesso Primo Levi ha ammesso di essere sopravvissuto solo grazie ad una serie di eventi favorevoli, quali: una conoscenza basilare del tedesco; aver trovato chi gli portava da mangiare di nascosto (Lorenzo Perrone); le sue competenze da chimico; e soprattutto il fatto di essersi ammalato “nel momento giusto”: Levi ha contratto la scarlattina ed è stato così spostato nell’infermieria del campo, sfuggendo alla marcia di evacuazione da Auschwitz e risultando così uno dei venti italiani sopravvissuti – su oltre 650 arrivati al lager.

Perché ricordare Primo Levi: l’eredità dello scrittore ebreo sopravvissuto ad Auschwitz

Dopo la liberazione di Auschwitz, Primo Levi è tornato a Torino ed ha ripreso il lavoro in fabbrica, ma con difficoltà. Quanto vissuto nel campo di concentramento è stato tradotto nel libro memoriale “Se questo è un uomo“, un testo non immediatamente di successo: ci sono voluti 11 anni prima che la casa editrice Einaudi si decidesse a pubblicare quello che è poi diventato uno dei libri chiave per comprendere l’Olocausto. Nel 1975 Levi ha scelto di andare in pensione e dedicasi alla scrittura: dopo Se questo è un uomo sono arrivati La Tregua, Il sistema periodico, La chiave a stella (vincitore del premio Strega) e Se non ora, quando?.

Trovato morto nell’atrio del suo palazzo l’11 aprile 1987 (una fatale caduta l’ipotesi più accreditata), la figura di Primo Levi è ancora oggi determinante per parlare di Shoah. “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”, recita la forse più celebre citazione da Se questo è un uomo, e per farlo ha dedicato la sua nuova vita dopo gli orrori di Auschwitz a tramandare quanto vissuto. Un lavoro difficile, quello di “trasformare i fatti in ricordi”, che ha richiesto un lungo periodo di gestazione per poter prendere le distanze da quei tragici eventi.