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Chernobyl: 35 anni fa una catena di errori e difetti portò al dramma nucleare che sconvolse il mondo

Pubblicato: 26/04/2022 08:08

Il 26 aprile 1986 un test condotto male e conclusosi peggio che coinvolgeva il reattore 4 della centrale nucleare di Chernobyl portò al peggiore disastro nucleare della storia.

Ciò che accadde a Chernobyl influenzò non solo le vite di centinaia di migliaia di persone, ma anche la politica e l’economia di moltissimi Stati: il primis l’Unione Sovietica, che si trovò a fronteggiare nel corso di quell’anno e di quelli a venire le conseguenze di moltissime decisioni prese prima, durante e dopo il disastro.

Disastro di Chernobyl: i difetti di progettazione e gli elementi di incompetenza

La notte dell’incidente nucleare, al reattore numero 4 di Chernobyl si era deciso di procedere ad un test: occorreva stabilire se, in caso di spegnimento del reattore dovuto alla mancanza di energia elettrica esterna, le turbine avrebbero continuato a lavorare, continuando a generare energia fino all’ azionamento dei generatori di emergenza. Si trattava di un esperimento rischioso che venne condotto facendo alcuni errori di base fondamentali. In primis, va considerato che l’esperimento era già stato tentato su un altro reattore, e che non era andato a buon fine in quanto le misure di sicurezza erano entrate in funzione, bloccando la procedura. In secondo luogo non era stato considerato che procedere con l’esperimento durante il turno di notte significava dover lavorare con un team di operai e dipendenti che non erano stati adeguatamente informati e preparati su cosa fare e come agire, al contrario di quelli che ci sarebbero stati a condurre l’esperimento in una fase diurna.

Il reattore RBMK funzionava in questo modo: un combustibile scaldava l’acqua presente nel reattore, che bollendo produceva vapore che andava alle turbine, generando energia. La fissione avveniva quanto i neutroni rallentavano (e ciò accadeva grazie alla grafite presente nel nucleo e di cui era fatta la punta delle barre di controllo). Il sistema veniva tenuto sotto controllo dal fatto che le barre di combustibile erano a diretto contratto con l’acqua di raffreddamento. Più sacche di vapore si creavano, più reazioni nucleari avvenivano. Il reattore aveva un’ulteriore caratteristica non sottovalutabile: era necessario che sopra il reattore vi fosse una gru. Questa serviva a sostituire velocemente il combustibile in maniera immediata ed efficace, e ciò era necessario perché a Chernobyl si produceva anche plutonio a fini militari, elemento che, per generarsi, chiede cicli di combustibile molto rapidi. Costruire un copertura di contenimento tanto grande da poter contenere la gru si rilevò molto costoso e quindi si decise di costruire una copertura con materiali meno resistenti e che si sarebbe poi rivelata inadeguata.

Il reattore presentava dunque un funzionamento molto complesso e che aveva dei difetti di progettazione e costruzione che si sono rivelati fatali nella fase di test.

Erano troppi gli elementi che aumentavano l’instabilità e fragilità del reattore: non solo la mancanza di un tetto della giusta resistenza (e quindi di una protezione adeguata) ma anche la natura delle barre di controllo (in quanto la grafite presente nella punta aumentava la reattività).

Chernobyl: cosa accadde quella notte al reattore numero 4

La sera dell’incidente, la fragilità del sistema si unì all’incompetenza umana -ed in alcuni frangenti alla scelleratezza di alcune decisioni- e portò alla catastrofe. Per garantire che il test procedesse senza che le misure di sicurezza intervenissero e lo bloccassero, il capo ingegnere di turno, Anatolij Djatlov, decise di disattivare le misure di sicurezza: di fatto, tolse i freni ad una macchina in corsa, garantendo l’impossibilità di azione nel caso di perdita di controllo. E ciò che accade fu proprio che si perse il controllo: alcuni errori umani dovuti all’incompetenza fecero prima abbassare di molto la potenza del reattore, rendendolo troppo instabile: poi, per rimediare a questo errore, si decise di aumentare la pressione dell’acqua, sbagliando di nuovo ed immettendo circa il 19% in più del livello massimo di acqua consentita dai sistemi di sicurezza, portando non all’aumento della potenza ma ad un suo ulteriore abbassamento.

Si decise a quel punto di rimuovere le barre di controllo, anche qui sbagliando perché furono rimosse praticamente tutte, violando quanto prescritto dalla procedura. Si decise di andare avanti con l’esperimento spegnendo le pompe di raffreddamento ma ciò portò ad un picco di potenza che si tentò disperatamente di bloccare tramite l’attivazione dell’AZ-5, il pulsante di emergenza che, in teoria, avrebbe dovuto interrompere il funzionamento del reattore tramite il reinserimento delle barre di controllo che erano state rimosse. Ciò però non accadde perché la punta di grafite deformò i condotti delle barre impedendo il reinserimento.

Nel momento dell’attivazione dell’AZ-5, il sistemo di fatto crollò: le tubature dell’acqua si ruppero e l’acqua entrò a contratto con il combustibile puro: la reazione provocò l’esplosione che fece saltare il nocciolo del reattore in aria, facendo saltare la piastra del reattore, facendo bruciare la grafite delle barre di combustibile (che a quel punto erano a contatto con l’ossigeno dell’atmosfera) e generando la nube radioattiva che tutti gli abitanti della zona videro immediatamente levarsi in cielo quella notte.

Esplosione, nube radioattiva e conseguenze: i minuti dopo il disastro

All’esplosione del reattore seguì l’inconsapevolezza. Chi lavorava al reattore quella notte, in primis il capo ingegnere Djatlov, non capì cos’era accaduto: non lo capirono i due operai che vennero mandati direttamente nella sala del reattore per controllare i danni, e non lo capirono i vigili del fuoco che vennero mandati a spegnere l’incendio alla centrale e che si trovarono nel giro di pochi attimi a contatto con materiale ad altissima radioattività, toccando con mano nuda i pezzi di grafite saltati dal tetto. Cominciarono a capirlo coloro che furono mandati a rilevare i livelli di radioattività in un secondo momento, quando si intuisce che la situazione poteva essere più grave di quanto ipotizzato e, muniti dei rilevatori adatti allo scopo, scoprirono che la radioattività superava i 20mila röntgen (i rilevatori in uso alla centrale non erano in grado di rilevare una radioattività superiore ai 3,6 röntgen).

Dopo un’iniziale fase in cui l’Unione Sovietica tentò di capire cosa fosse accaduto e quale fosse l’entità del danno e del pericolo, si decise di non fare un annuncio internazionale su cosa stesse accadendo a Chernobyl. Ne andava, infatti, della reputazione dell’URSS, che si sarebbe trovata a dover dare in breve tempo una serie di spiegazioni sul perché ci fosse un reattore con un difetto di progettazione, su come era stato condotto l’esperimento. Si sarebbe trovata a dover mettere a repentaglio la credibilità ed il prestigio  di cui si vantava. Purtroppo però in breve tempo gli elevati livelli di radioattività cominciarono ad essere rilevati in molti Stati europei e non, generando domande e pretesa di spiegazioni. Alla fine, l’Unione Sovietica fu costretta a spiegare cos’era accaduto a Chernobyl.

Chernobyl dopo l’incidente: cosa venne fatto per limitare i danni

Valerij Legasov, consigliere della commissione deputata alla risoluzione del problema Chernobyl, consigliò di gestire l’incendio e l’espansione della nube radioattiva, gettando sabbia e boro sul reattore: si trattò di un’operazione molto complessa e che portò alla morte alcuni di coloro che cercarono di portarla a compimento (tra cui l’equipaggio di uno degli elicotteri addetti a gettare boro e sabbia dall’alto, che si ruppe mentre era sopra la nube). Quasi immediatamente si comprese che il reattore che bruciava avrebbe potuto portare a un altro enorme problema: il pavimento sotto di esso stava cedendo e la struttura, crollando, avrebbe travolto in pieno le vasche d’acqua sottostanti che avrebbero provocato una nuova esplosione e la contaminazione delle acque del nord dell’Ucraina. Per risolvere il problema 3 uomini vennero selezionati affinché scendessero nelle vasche per far defluire l’acqua ed eliminando il rischio della seconda esplosione.

Chernobyl, il processo: condannati e licenziati

Nel 1986 avvenne un processo a porte chiuse contro i presunti responsabili del disastro: furono licenziate 67 persone e 27 furono espulse dal partito comunista. Il direttore della centrale Viktor Brjuchanov fu condannato a 10 anni di lavori forzati, così come all’ingegnere capo Nikolaj Fomin, mentre Djatlov ricevette una condanna a 5 anni. Ricevettero condanne minuti il capo della vigilanza Rogozkin, il supervisore Kovalenko e l’ispettore Luauškin. 7 milioni di persone hanno ricevuto un risarcimento danni. A Pripjat’ e Chernobyl, luoghi geograficamente limitrofi alla centrale, 336mila persone vennero evacuate e non sono più tornate delle loro case.

Il mondo dopo Chernobyl: il conteggio delle vittime e il dibattito sul nucleare

Il disastro di Chernobyl e le morti (e malattie) ad esso collegate portarono in Russia al processo per la condanna dei responsabili, e nel resto del mondo ad un acceso dibattito sulla sicurezza del nucleare. Il numero e la quantificazione dei morti dovuti al disastro di Chernobyl sono stati per decenni motivo di discussione e, ancora oggi, i bilanci ufficiali vengono fortemente contestati dalle associazioni antinucleariste, che utilizzano un presunto elevatissimo numero di decessi ancora oggi collegato a Chernobyl come elemento chiave della tesi no-nuc.

I dati ufficiali raccolti dalla Chernobyl Tissue Bank -un progetto di ricerca finanziato a livello internazionale che si è proposto di comprendere quali conseguenze sulla salute mondiale ha avuto il disastro- mostrano che vi è un determinato numero di morti direttamente attribuibili all’incidente (ovvero di persone che erano sul posto al momento dell’esplosione del nocciolo e ne vennero direttamente coinvolte, o che lavorarono ai soccorsi) ed un numero di morti e malattie che si possono ricondurre ai livelli di radioattività sprigionati dall’esplosione del nocciolo.

Per quanto riguarda il primo numero, la stima ufficiale dell’Onu è di 54 morti: di questi, 28 erano operai e “liquidatori” (addetti al recupero della zona e alla messa in protezione della stessa), 6 erano addetti allo spegnimento dell’incendio, 2 morirono per crolli al momento dell’esplosione, un operaio risulta formalmente “disperso” e 137 operai furono ricoverati per ARS, ovvero Sindrome Acuta da Radiazioni e morirono tra il 1987 ed il 2004 (in alcuni casi la morte non è riconducibile direttamente all’ARS). Gli studi della CTB e dell’ UNSCEAR hanno recentemente dimostrato che nelle popolazioni di Russia, Bielorussia e Ucraina si sono rilevati 6mila casi di cancro alla tiroide in coloro che all’epoca dei fatti avevano tra 0 e 10 anni, e si suppone che il numero possa salire a 16mila casi. Di questi casi, ovviamente, una parte è andata incontro al decesso ed un’altra parte è guarita o in fase di trattamento della malattia. A rendere difficile il conteggio delle persone la cui malattia è legata direttamente a fattori di radioattività è il fatto che non è possibile dire con certezza quando un cancro alla tiroide è dovuto a radioattività, e quando ad altri fattori non genetici. Si uniscono a ciò altri fattori non sottovalutatili, tra cui aumento dell’inquinamento (che notoriamente gioca un ruolo importante nell’aumento di tumori a livello mondiale) ed il fatto che gli screening preventivi ora molto frequenti per molti tumori permettono l’individuazione degli stessi in tempi precoci, il riconoscimento della malattia e quindi il conteggio di molti casi in più (ma per fortuna in forma già lieve rispetto a un tempo).

Ultimo Aggiornamento: 26/04/2022 14:34