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Alia Guagni, dalla difesa all’attacco: la discriminazione di genere nel calcio femminile è un abisso da colmare

Pubblicato: 09/05/2022 09:43

Lo scorso 16 aprile si è tenuto l’evento di presentazione della campagna La Donna mobile, iniziativa promossa dal gruppo fiorentino Violet Blend e dalla sua leader Giada Celeste Chelli. The Social Post, partner ufficiale, ha intervistato Alia Guagni, calciatrice della Nazionale Italiana e testimonial della campagna: l’occasione per approfondire il tema della discriminazione di genere in uno sport ancora fortemente maschiocentrico ma sul punto di grandi cambiamenti.

Alia Guagni, professione calciatrice: traguardo storico per il calcio femminile in Italia

È un periodo storico determinante per il calcio femminile italiano. Se, infatti, da decenni alcune professioniste dello sport tricolore hanno potuto vivere nella sicurezza di una legislazione in grado di tutelarle, lo stesso non si può dire per le calciatrici di Serie A e leghe minori, da anni in lotta per vedersi riconosciuti gli stessi diritti dei colleghi uomini. Una battaglia che vede schierata in prima linea anche Alia Guagni, difensora della Nazionale Italiana Femminile e attualmente tesserata con il Milan dopo un glorioso e recente passato tra le file della Fiorentina – con la quale ha vinto Scudetto, Coppa Italia (due volte) e Supercoppa.

L’intervista arriva al momento giusto: martedì 26 aprile 2022 il presidente della FIGC Gabriele Gravina ha annunciato norme che “disciplinano l’attività e l’esercizio del professionismo del calcio femminile“. Un traguardo storico, per Alia Guagni: “Era quello per cui stavamo lavorando, per ottenere questo risultato che è solo un punto di partenza. È il primo vero step verso quello che sarà il nostro futuro“.

Cosa cambia, adesso che il calcio femminile entra nel professionismo?

Ci viene riconosciuto quello che facciamo come una professione. Il che non vuol dire avere stipendi stratosferici, ma averne uno. Significa poter avere un minimo salariale come i lavori riconosciuti, che ci possa permettere di farlo nella maniera corretta, avere tutele e garanzie. Sembra poco ma per noi vuol dire tantissimo. Sono cose che faranno la differenza.

La discriminazione di genere nel calcio italiano, Alia Guagni: “Siamo indietro anni luce

Che il calcio femminile italiano sia in evidenze sofferenza – culturale, sportiva ed economica – rispetto ad altri campionati e realtà internazionali lo certificano alcuni fatti e numeri: a marzo negli Stati Uniti è stata annunciata la parità salariale tra calciatori e calciatrici, mentre il 22 aprile al Camp Nou di Barcellona si sono registrati 91.648 spettatori per la partita di Champions League tra la squadra di casa femminile e il Wolfsburg. Di strada, lo sport italiano, ne deve fare ancora tanta.

Nello sport e soprattutto nel calcio femminile italiano c’è tanta discriminazione di genere?

Ce n’è molta, nello sport generale. Nel calcio però c’è un abisso, in Italia siamo indietro anni luce. Questa notizia [il professionismo per le calciatrici italiane, ndr] è venuta fuori adesso e ha scatenato commenti assurdi. Mi sono fatta un tour ed è venuto fuori di tutto, una cattiveria che non si riesce a capire. Discriminazione è dir poco. Mi stupisco e non so perché: dicono ancora cose come ‘dovete andare in cucina‘…

Hai vissuto anche un’esperienza all’estero, all’Atletico Madrid. Le cose in Spagna sono diverse?

Anche in Italia ci sono club che nonostante non lo fossimo ci trattavano già come professioniste. In Spagna per certi aspetti sono più avanti, sia come gioco che come movimento. I numeri della Spagna arrivano da un lavoro di anni, di una cultura più avanti sotto moltI più di vista.

Dal miracolo Mondiale al divario di genere della Serie A: i problemi del calcio italiano

I detrattori sostengono che il calcio femminile in Italia non potrà mai avere lo stesso peso di quello maschile perché non attira lo stesso pubblico, gli stessi sponsor e quindi gli stessi soldi. Una delle regole base del mercato, però, è proprio saper creare la domanda.

È nato prima l’uovo o la gallina, quindi?

Domanda a cui nessuno sa dare una risposta. Finché non troveremo qualcuno che investa su di noi è difficile pensare a traguardi importanti. Quello che è successo al Mondiale 2019 è stato una specie di miracolo calcistico: non abbiamo vinto niente ma siamo arrivate là, rimboccandoci le maniche e dando forse più di quello che potevamo dare. È stato un evento mediatico importante, si è visto che c’è un ritorno e si è iniziati a rilanciare il calcio femminile. Se società e calciatrici però non sono messe nelle condizioni di poterlo fare come con gli uomini – non come stipendi ma come condizioni professionali – diventa difficile. Finché le società non riesco per motivi finanziari a farlo, se si mettono calciatrici di Serie A nella condizioni di dover fare non solo allenamenti, ma di dover avere un altro lavoro, preoccuparsi di come arrivare a fine mese… sono una serie di cose che ti fanno chiedere come si possa pretendere da queste persone quello che può dare un calciatore che si allena e fa il suo mestiere h24, nelle migliori condizioni.

Per risolvere questo divario di genere, da dove bisognerebbe cominciare a lavorare: tifosi, società o sistema?

Gli aspetti sono tanti. C’è bisogno di lavorare sul settore giovanile, finché non abbiamo i numeri è difficile supportare la qualità. Bisogna lavorare sulla mentalità della gente. Finché diremo alle bambine che non possono giocare a calcio… I genitori magari le portano solo dai 15 anni e difficilmente poi arrivi ad alti livelli. Io sono stata fortunata, i miei mi hanno sempre appoggiata e supportato, ma si sentono storie diverse. Bisogna capire che le donne possono fare tutto.

Il Mondiale 2019 è stato un punto di partenza o un fuoco di paglia?

Per noi è stato un punto di partenza, è successo in un momento in cui non c’erano competizioni maschili, gli occhi erano su di noi e le tv ci hanno pubblicizzato nella maniera corretta. C’è stato un rilancio, poi sfortunatamente c’è stato il Covid, ci ha fatto tornare indietro. Si è perso interesse ed entusiasmo. Ma se siamo arrivate adesso al professionismo, stiamo facendo dei passi avanti.

Alia Guagni testimonial di La Donna Mobile: il progetto delle Violet Blend

La calciatrice azzurra è testimonial dell’evento promosso dal gruppo fiorentino Violet Blend, una campagna di responsabilizzazione, educazione ed informazione incentrata sul ruolo della donna nell’ambiente lavorativo. Insieme ad AIDOS – Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo, si sta lavorando su una serie di eventi che possono contare sul supporto di numerose personalità in grado di aiutare a sensibilizzare sul tema: Alessandra Kustermann, medico ginecologo, primario del Mangiagalli Center; Lucia Votano, Dirigente di Ricerca associata all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare; Carolina Morace, allenatrice della Lazio Women, dirigente sportiva ed ex calciatrice; Maria Caramelli, Direttrice sanitaria Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte; Paola Santini, Astrofisica dell’Osservatorio Astronomico INAF di Roma e, appunto, Alia Guagni.

Come sei stata coinvolta nel progetto La Donna Mobile?

Sono stata contattata dalla band [Violet Blend, ndr], che mi ha fatto presente di questo progetto. È un argomento che mi sta a cuore, mi sono buttata. Sono anche di Firenze, fiorentina doc. Cercavano appunto una testimonial e ho sposato la causa. So che l’evento è andato molto bene, ce ne vorrebbero tanti altri.