Vai al contenuto

Guerre quante ce ne sono nel mondo, dove sono e perché non se parla abbastanza in occidente

Pubblicato: 09/05/2022 15:33

La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi”, diceva il generale prussiano Carl Von Clausewitz. Deve essere per questo che nonostante gli enormi cambiamenti intervenuti nei secoli in tutti i campi, il crollo di imperi e di sistemi economici, le evoluzioni tecnologiche e di costume, i conflitti armati non sono tramontati, non sono divenuti un ricordo come la schiavitù, per esempio. 

Guerre tradizionali tra Paesi, guerre civili, guerre ibride che si sviluppano per decenni con alterne vicende e l’intervento di potenze esterne, accompagnate magari da fiammate di terrorismo.

Quello che è mutata, forse, è la narrazione che le accompagna. Se un tempo era accettato parlare esplicitamente di guerra, considerarla una delle funzioni del potere, oggi anche da parte di chi la inizia vi è il tentativo di negarla, di nasconderla, a volte addirittura da un punto di vista semantico (“operazione speciale”), più spesso da quello politico e psicologico.

I Paesi, le organizzazioni, le milizie che danno il via a un’operazione bellica non ammettono la propria volontà di attacco, ma dissimulano le proprie azioni parlando di difesa da qualche male maggiore, di missione per portare la pace laddove sarebbe in pericolo.

Tra le tante differenze qualitative tra le guerre di ieri e di oggi sicuramente una che non manca è l’attuale maggiore ipocrisia. 

In Afghanistan e nello Yemen da inizio 2021 più morti che in Ucraina

I conflitti, comunque vengano raccontati e giustificati, continuano a uccidere. E lo hanno fatto anche negli ultimi 16 mesi. L’emergenza pandemica non ha posto le armi in lockdown, le guerre hanno proseguito a mietere vittime. 

Soprattutto in due teatri che, adesso che imperversano gli scontri in Ucraina, hanno perso anche quel poco di attenzione che era stata prestata loro in passato, ovvero Yemen e Afghanistan.

Da inizio 2021 a oggi nel Paese nel sud della penisola arabica sono morte circa 33mila persone. Si tratta naturalmente di una cifra approssimativa, come è sempre in questi casi, soprattutto nel mondo in via di sviluppo, dove a scontrarsi non sono solo eserciti ufficiali, ma più spesso milizie, composte da combattenti che magari non hanno neanche una divisa. 

Nel caso dello Yemen, signori della guerra locali si schierano al fianco del movimento Houthi, appoggiato dall’Iran e dai suoi alleati, o del governo ufficiale supportato dai sauditi e da gran parte dell’Occidente. 

L’ennesima proxy war con un’intensità abbastanza bassa per passare quasi inosservata a gran parte dell’opinione pubblica mondiale, ma non così tanto da evitare di generare decine di migliaia di vittime. 

Come il conflitto in Afghanistan, che soprattutto nella sua ultima fase ha prodotto ancora più morti, 40mila, prima e subito dopo la presa di Kabul da parte dei talebani.

Quello in Ucraina, dove finora vi sono state 30mila vittime, ora rischia di finire al primo posto, per perdite umane, tra le guerre di oggi, e di oscurare anche nei numeri oltre che mediaticamente questi conflitti. 

Tra cui ve ne sono anche alcuni sconosciuti ai più: per esempio i mille che interessano la fascia del Sahel, dal Nord del Mali al Niger al Darfur, in cui si incrociano innumerevoli attori, movimenti separatisti, Al Qaeda, Isis, semplici banditi ed eserciti nazionali. Questi ultimi, poi, sono spesso più o meno supportati da quelli di alcune potenze occidentali, come la Francia.  Dal 2021 in quest’area gli scontri hanno prodotto circa 20mila morti. 

17mila, inoltre, ve ne sono stati in Etiopia, dove i tigrini combattono contro lo Stato centrale di Addis Abeba. Non si sono completamente sopite le armi, poi, nel Myanmar e in Siria, e neanche nell’Est del Congo, in cui da decenni si sfidano eserciti regolari e milizie di signori della guerra. 

Fonte: Council of Foregn Relations (CFR)  , Armed Conflict Location & Event Data Project (ACLED) e altre, elaborazione di The Social Post

Il focolaio principale è sempre il Medio Oriente

Basta dare uno sguardo veloce a questi grafici, o ai numeri presenti nei tanti database sui conflitti nel mondo per rendersi conto di come sia l’area che va dal Nord Africa all’Afghanistan a essere il centro di gran parte dei conflitti. Si tratta di una parte del mondo in fondo relativamente piccola, soprattutto se osserviamo la popolazione che vi è contenuta.

È forse anche per questo, perché è da tanto tempo la prima scoppiata al di fuori di queste zone, che la guerra in Ucraina desta così tanta attenzione. 

Ha rotto una sorta di monopolio detenuto da quello che chiamiamo a grandi linee Medio Oriente.

Qui vi è stato quasi un milione di morti dall’11 settembre 2001 in poi. Si tratta di una data non casuale, un punto di svolta che ha posto le condizioni per tanti conflitti a catena, correlati più o meno indirettamente tra loro. 

La maggioranza relativa delle vittime, circa 290mila, è stata in Iraq, a causa sia dell’invasione Usa del 2003 che, soprattutto, della fase successiva di fortissima instabilità e dell’avvento, poi, dell’Isis. 

La guerra civile siriana, che include anche gli eccidi di Daesh, ha provocato 266mila morti. Più che in Afghanistan e in Yemen, dove sono stati in totale 176mila e 112mila. 

Anche nel popoloso Pakistan gli scontri tribali, soprattutto vicino al confine afghano, ma non solo, hanno provocato vittime, 67mila complessivamente

Fonte: Watson Institute, Brown University, elaborazione di The Social Post

Le guerre tra Stati sembravano passate di moda, fino all’Ucraina

Questi conflitti, e a maggior ragione quelli africani, hanno sempre avuto una particolarità, quella di coinvolgere in modo massiccio i civili. Tra i motivi vi è il fatto che quasi sempre proprio di guerre civili, appunto, si tratta. 

Quelle tra Stati nazionali prima dell’invasione russa dell’Ucraina sembravano essere quasi scomparse a livello mondiale negli ultimi 30 anni. 

Sono stati gli scontri interni tra diverse fazioni, tra milizie contrapposte, o tra queste e il governo centrale a generare più morti. 

La Siria è un esempio classico. Per propria natura queste guerre non hanno un fronte chiaro e netto, si sviluppano in luoghi distanti e non collegati tra loro, all’emergere qui e là di forze di opposizione. E la mappa degli scontri è fatta di enclavi e zone di controllo non chiare.

Sono conflitti spesso urbani, che si combattono tra le vie delle città in cui il ruolo dei civili, come vittime o come soldati improvvisati, è rilevante. 

E ad aggravarli giunge quasi sempre un elemento che è diventato di grande importanza negli ultimi anni, l’intervento esterno di potenze che hanno interesse alla vittoria dell’una o dell’altra parte. Dal 2014 in poi sono queste guerre, quelle civili con un appoggio straniero dei contendenti, quelle che hanno provocato più morti. 

Per esempio all’Iran e alla Russia che sostengono le truppe di Assad si contrappongono Usa e Occidente che aiutano l’opposizione e i curdi, sempre in Siria. E così in Yemen. 

Non è una novità di oggi, la guerra del Vietnam o l’intervento sovietico in Afghanistan, del resto, altro non erano che l’intromissione in guerre civili già in atto da parte delle due maggiori potenze, ma ultimamente questa era divenuta la prassi. Fino all’Ucraina.

Vittime per 100mila persone, Fonte: Council of Foregn Relations (CFR), rielaborazione di The Social Post

Il numero di vittime di guerra ha avuto una traiettoria discendente dopo il 1989

Vi è un dato positivo da sottolineare. Pur con alti e bassi il trend dei morti per i conflitti armati nel mondo dal 1945 in poi è stato in discesa.

In particolare dal 1989. La fine della contrapposizione tra Usa e Urss ha fatto terminare tanti scontri che si trascinavano da tempo, e che erano di fatto delle proxy war fra i due grandi contendenti. Basti pensare a quelli in Angola e in Mozambico, o in Nicaragua. 

Vi è stato un nuovo aumento del numero di vittime a metà dello scorso decennio, quando, intorno al 2014, si sono toccati ancora i 100mila morti, principalmente a causa della guerra in Siria e Iraq. Tuttavia questo non ha riportato il mondo ai livelli degli anni ‘80, quando erano in corso, per esempio, i conflitti in Libano e tra Iran e Iraq, né agli anni ‘70, con la guerra del Vietnam, o al periodo delle lotte per la decolonizzazione in Asia e Africa, appena dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. 

Oggi, per fortuna, siamo abituati a scandalizzarci per un numero inferiore di morti di quelli che una volta forse apparivano essere “normali”. Le 30mila perdite in Ucraina sono solo una frazione di quelle che venivano provocate da pochi giorni di forsennati assalti alle trincee del Carso o delle Fiandre. 

La sfida cui siamo di fronte è di non ri-abituarci, non rimettere indietro le lancette della storia, non lasciare che, come accaduto nel XX secolo, la guerra rientri a fare parte del nostro orizzonte di vita.

Fonte: Council of Foregn Relations (CFR), rielaborazione di The Social Post

Ultimo Aggiornamento: 09/05/2022 16:44