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Gianni Amelio sulle ingiustizie vissute da Aldo Braibanti perché gay: “Provavo angoscia al pensiero di subire le stesse violenze”

Pubblicato: 07/09/2022 13:42

Gianni Amelio, regista di film come L’Intrepido (2013) e Hammamet (2020), torna in scena con Il signore delle formiche, in concorso al Festival del cinema di Venezia. Alla conferenza stampa di presentazione del film, nonché in un’intervista al Corriere della sera, il regista ha denunciato l’attualità dei temi cardine del film. La pellicola è incentrata sulla storia, dimenticata, di discriminazioni contro l’omosessuale Aldo Braibanti.

Il signore delle formiche: chi era Aldo Braibanti, la cui storia è raccontata nel film

L’opera è in realtà una docu-fiction e racconta la vera storia di Aldo Braibanti, vicenda nota come “Caso Braibanti”. Nell’Italia di fine anni 60, si faceva la rivoluzione per i diritti, ma principalmente quelli dei lavoratori e degli studenti. A essere calpestati erano invece i diritti delle persone omosessuali, come Aldo Braibanti. Intellettuale, filosofo e partigiano, Braibanti fu innanzitutto un poeta, scrittore e regista. Poi coltivò la passione per la mirmecologia, ovvero lo studio delle formiche, da cui il titolo del film. Il signore delle formiche, racconta però solo di sfuggita della sua carriera di Braibanti. A dominare è la vicenda umana che sconvolse la vita di Braibanti, morto nel 2014. Nato a Fiorenzuola d’Arda, nella provincia piacentina in piena epoca fascista, nel 1922, Braibanti fu un attivista antifascista e per questo fini in carcere du e volte. A fine anni 40 però però abbandonò la politica attiva e si dedicò all’impegno culturale, fondando un circolo teatrale a cui aderiscono pilastri della cultura teatrale italiana: i fratelli Bellocchio, Carmelo Bene, tanto per citarne qualcuno. La sua vita professionale in ascesa però viene interrotta all’improvviso per le conseguenze drammatiche dell’evento che ha segnato la sua vita.

Il caso Braibanti: cosa racconta il film Il signore delle formiche

Negli anni 60, Braibanti si trasferisce a Roma con il suo amante e amico, Ettore Tagliaferri nel film, che all’epoca aveva 23 anni e 23 in meno di lui. La relazione suscitò scandalo e causò al poeta una condanna a nove anni di reclusione, ridotti a sei per buona condotta. L’accusa proveniva dal padre del giovane, che non accettava la relazione omosessuale tra i due. Nel 1964, Braibanti viene quindi accusato di “plagio”, e nella fattispecie – “rispolverando un articolo del codice Rocco – di avere influenzato negativamente Giovanni Sanfratello. Secondo la denuncia sporta dal padre alla procura di Roma, Braimanti avrebbe esercitato un’influenza negativa sul ventitreenne. La loro però era solo una storia d’amore vittima del pregiudizio del tempo, momento che il regista Gianni Amelio ha vissuto in modo talmente intenso da voler trasformare in pellicola. “Andavo in Tribunale – dice al Corriere – perché sentivo il problema, provavo angoscia al pensiero di essere al suo posto e subire le stesse violenze”. Come spiega Gianni Amelio, Braibanti “Fu trattato con violenza distruttrice. Ero in aula il giorno in cui la madre testimoniò contro Braibanti e raccontò come avesse portato il fratello più grande, che era comunista , da Padre Pio. Come riporta l’Ansa, il regista non può collegare quei terribili fatti all’Italia di oggi, che crede di aver convinto dei traguardi sui diritti ma è ben lontana dall’averlo fatto. “In campagna elettorale – ha detto Gianni Amelio – una candidata ha detto accontentatevi delle unioni civili, peccato che lo stesso giorno sia girato il video di una donna che chiamava la polizia per aver visto due omosessuali baciarsi, e non parliamo di quello che ancora oggi succede in ambito scolastico. Ancora oggi – riporta l’ansa – l’omosessualità è considerata devianza che può turbare i bambini, purtroppo la mentalità è confondere omosessualità con pedofilia che è il peggiore dei crimini possibili mentre omosessualità è amore”.