Dietro il sorriso, la paura. Giorgia Meloni si trova ad affrontare un gigantesco problema, ragionando con apprensione non solo con il Tesoro ma anche con i due vicepremier, in seguito all’assalto a una manovra austera voluta da Giancarlo Giorgetti. Il terrore è di ritrovarsi il primo gennaio con una legge di bilancio già vecchia e inutilizzabile, superando i parametri del vecchio Patto di stabilità che potrebbero tornare in vigore nel 2024 senza un’intesa continentale.
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Il rischio che questo scenario si verifichi metterebbe la finanziaria italiana in una posizione di estrema fragilità, esponendola al pericolo di un intervento correttivo sui conti pubblici e all’azione degli speculatori che tengono sotto pressione i titoli di Stato italiani.
Maggioranza tesa, ma Meloni nega
La premier nega l’evidenza di uno scontro politico all’interno della maggioranza, ma i numeri indicano rischi concreti. Secondo la Nadef, il deficit italiano del 2023 è del 5,3%, superiore al 3% previsto dalle regole del Patto di stabilità. Anche il 4,3% stimato per il 2024 sarebbe incompatibile con il ritorno alle vecchie regole del Patto.
I dati non mostrano segnali di contenimento del deficit e del debito, e le previsioni basate su un Pil sovrastimato aumentano la preoccupazione. Il Documento programmatico di bilancio prevede una riduzione del PIL nel 2023 all’0,8% e nel 2024 all’1,2%, mentre il debito nel 2024 raggiunge il 140,1%, ben oltre le regole del vecchio Patto di stabilità.
La paura di Meloni nel braccio di ferro con i partner si intensifica, poiché la strategia di non ratificare il Mes prima di ottenere regole adeguate nel Patto di stabilità rischia di essere politicamente scarica, esponendo la manovra in Europa e sui mercati.
Il recente confronto tra il ministro dell’Economia tedesco e il titolare italiano del Tesoro durante l’ultimo Ecofin evidenzia l’attenzione di Berlino e dei rigoristi del Nord Europa su Roma. La manovra di rigore difesa da Giorgetti diventa cruciale, mentre l’attesa del giudizio di Moody’s sul rating italiano il 17 novembre aggiunge ulteriori tensioni, con il rischio di un downgrading da “investment grade” a “speculative grade”. Un incubo che si materializza