“A chi ora si sente senza speranza, dico che il tempo aiuta. L’uomo guarda al futuro” queste le parole Naftali Fürst, deportato prima nel campo di concentramento di Sered, poi nel 1944 ad Auschwitz. Una storia struggente che risuona come familiare, in questi giorni del terribile conflitto tra Israele e Palestina. Quando Naftali Fürst aveva dieci anni, le autorità slovacche promulgarono le leggi anti-ebraiche. Era il 1942 e il ragazzino, con il fratello Shmuel di appena un anno più grande e i genitori Margit e Arthur provarono a nascondersi, invano. Ora l’uomo racconta la storia della nipote, scampato agli attacchi di Hamas.
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La terribile storia
Naftali è uno dei prigionieri ritratti dal fotografo militare americano Harry Miller nel campo di Buchenwald, in una delle immagini diventate simbolo della Shoah. L’uomo, che oggi ha 91 anni, quando sabato 7 ottobre sono cominciate a trapelare le notizie dell’attacco contro i kibbutzim e villaggi nel sud Israele ha incominciato a preoccuparsi seriamente. L’anziano ha provato a chiamare la figlia Ronit per avere notizie della nipote Mika e del marito Sefi, che vivono a Kfar Azza con il bimbo di due anni, Neta. Purtroppo, non ha ricevuto risposta.
Fürst intervistato durante una trasmissione del Canale 12 ha dichiarato: “Non sapevano niente, non ci arrivava alcuna notizia, eravamo divorati dall’ansia, mentre alla televisione cominciavano a mostrare le immagini del trattore che sfonda la barriera e i terroristi che entrano come per una passeggiata. Io continuavo a credere nel governo e nell’esercito, ma non arrivava nessuno.”
Il villaggio dove vive la nipote di Naftali Fürst è Kfar Azza. Questa comunità agricola prima dell’attacco contava circa 750 persone ed è stata teatro di uno dei peggiori massacri perpetrati da Hamas, con decine di vittime e orrori infiniti, incluse torture e decapitazioni.
Il lieto fine
“Sono rimasti senza telefono, senza elettricità, senza cibo, stringendo dei coltelli da cucina come unica arma,” ha raccontato Fürst. “La casa dei loro vicini, cari amici, è stata bruciata. Gli altri nonni di Neta, sono stati uccisi in modo orribile.” La famiglia è riuscita a sopravvivere all’attacco barricata per venti ore nella stanza sicura con la porta che Sefi è riuscito a bloccare legandone la maniglia con un cavo telefonico.
“Se sono sopravvissuto ad Auschwitz è perché ho avuto molta fortuna, e il fatto che il 7 ottobre mia nipote, suo marito e il mio dolcissimo pronipotino si siano salvati dall’inferno è un’altra grande fortuna,” ha infine confidato Fürst.
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