
Nuova udienza del processo per l’omicidio di Saman Abbas, la ragazza di origini pakistane scomparsa l’aprile scorso a Novellara, dopo aver rifiutato il matrimonio combinato. In aula, ancora una volta, il fratello della vittima che continuerà a rispondere alle domande degli avvocati. Si riparte dal difensore di Nomanulhaq, uno dei due cugini imputati, che mostra al ragazzo i selfie che sarebbero stati scattati con lo zio Danish, da lui accusato di aver «preso per il collo» Saman per poi portarla nelle serre, all’indomani della partenza dei genitori per il Pakistan, il 2 maggio 2021. Ulteriori dettagli sulla telefonata tra il padre e il lo zio del ragazzo che ha puntato il dito contro il cugino Irfan.
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Saman Abbas, i giorni dopo la fuga
Nell’aula della corte di assise del tribunale di Reggio Emilia, il fratello di Saman ripercorre i giorni successivi alla fuga del padre e della madre. “Ho mangiato con zio e i miei cugini, zio mi ha detto di prendere i vestiti, ha chiamato i miei genitori in Pakistan e ha detto loro che dovevamo scappare perché avevano preso i nostri telefoni. Ma papà gli ha detto che dovevamo stare lì e zio gli ha risposto che lui era in Pakistan e non aveva problemi, ma a noi in Italia ci avrebbero potuto prendere. Io volevo rimanere qui in Italia, mio zio ha detto che avrei trovato nuovi amici altrove. Quella sera abbiamo preparato le nostre cose e il giorno dopo abbiamo preso le bici. Da Novellara, casa di zio, abbiamo evitato il percorso con le telecamere, abbiamo pedalato fino a Gonzaga da doveva abbiamo preso il treno per Modena e poi Como, dove abbiamo passato la notte in casa di un conoscente. Da lì l’indomani siamo partiti per Imperia”.
E ancora: “Lì sono stato accompagnato in questura, ci hanno controllato i documenti. Io e mio zio non ne avevamo, i miei cugini li avevano nelle scarpe, mio zio mi disse di dare un nome falso come aveva fatto lui. Un poliziotto mi disse che non somigliavo a zio e che non poteva lasciarmi andare con lui. Ma io non volevo andare in comunità, gli dissi che se mi avesse mandato lì da solo mi sarei ammazzato. Lo stesso poliziotto mi mostrò la pistola e mi disse fai come ti pare – continua il fratello di Saman – Ero scioccato. Sono finito in comunità, lui ha proseguito la fuga. Ho tentato di scappare dalla comunità. Un pakistano a Lucinasco mi ha aiutato a scappare con altra gente con le lenzuola, mio zio mi diceva che dovevo andare via, così pure mia madre. Mi dicevano che dovevo scappare, andare in Francia”.

Saman Abbas, i macabri suggerimenti durante le riunioni
“In casa venivano fatte riunioni per far del male a Saman, non solo quando scappò in Belgio, ma anche quando era in comunità”. Lo ha detto il fratello della ragazza pachistana uccisa la notte tra il 30 aprile e il primo maggio 2021 per essersi opposta a un matrimonio combinato. “Irfan (un altro cugino del ragazzo la cui posizione è stata poi archiviata, ndr) guardava sempre male Saman – ha aggiunto il ragazzo in aula – e con l’altro fratello di mio padre dava consigli brutti ai miei genitori, invitandoli a fare del male a mia sorella. Ha detto che lui l’avrebbe uccisa“.
Saman Abbas, il fratello: “Ora mi sento italiano”
«Io sono cresciuto in quella cultura, da piccolo i miei genitori mi hanno insegnato che non si poteva fare amicizia con le ragazze, era vietato, e per questo ho mandato la foto del bacio di Saman ai miei parenti. In quel momento avevo la loro stessa mentalità, per me era una cosa sbagliata. Ma ora è tutto cambiato, da quando sono in comunità. Mi sento anche di essere italiano. Per come penso ora, hanno fatto una cosa sbagliatissima”. Lo ha detto il fratello di Saman Abbas, in un accorato momento della sua testimonianza rispondendo alla domanda sul perché inviò ai propri familiari la foto della sorella che baciava il fidanzato.
«Non tornare in Italia»
“A mio padre consigliai di non tornare in Italia. L’ho fatto perché volevo essere libero». Lo ha detto il fratello di Saman, rispondendo alle domande dell’avvocato Liborio Cataliotti, difensore dello zio della vittima, Danish Hasnain. «In Italia io mi sentivo libero di fare la mia vita e non volevo tornasse per vivere nella stessa casa – ha continuato- perché sarebbero tornati i problemi di prima, come quello che beveva”.