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Il peso dell’Abruzzo nei rapporti tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini

Pubblicato: 04/03/2024 20:28

Quanto è alto il livello di rischio rottura nella maggioranza di governo? Dopo le regionali in Sardegna i led accesi sulla scala di misurazione sono in aumento. Per sapere se scenderanno o se passeranno sul rosso (colore del pericolo) si dovrà attendere la notte di domenica prossima 10 marzo, quando si saprà chi avrà perso in Abruzzo. Sì, chi avrà perso: perché se a finire impallinato sarà il candidato della destra-centro, allora ci si dovrà interrogare su chi pagherà il salatissimo conto tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini.

Elezioni regionali, dopo l’isola ecco l’Abruzzo (con orizzonte già proiettato sul Veneto). Qui Meloni si gioca molto, moltissimo della sua credibilità, così come l’alleato-antagonista Salvini vede in ballo la sua immagine di uomo del fare. Fosse una partita di cartello, sarebbe una dalle mille incognite. Ma con la posta in palio ben definita: alla fine ne resterà soltanto uno. La (pardon, il) presidente del Consiglio scenderà in campo con la sindrome se non proprio da onnipotenza, diciamo da quasi invincibilità. Sindrome che può portarti dalle stelle a luoghi più campestri, se non conosci l’umiltà e non cogli segnali che arrivano da tutto un mondo intorno.
La premier arriva al voto abruzzese dopo il suo diktat sulla candidatura di Paolo Truzzu in Sardegna, imposta all’ultimo contro il governatore uscente della Lega. La scelta rivelatasi perdente contro la grillina Alessandra Todde è stata tutta opera sua; così come in tanti a Roma ancora ricordano il flop di Enrico Michetti, candidato sindaco contro Roberto Gualtieri. Ecco, si può dire che sugli amministratori locali il team Meloni non abbia un gran fiuto: altro che invincibilità se non capti i segnali su Truzzu, ai più bassi indici di gradimento tra i sindaci italiani (è l’attuale primo cittadino di Cagliari). Per non dimenticare Luca Bernardo, candidato sindaco Milano contro Giuseppe Sala: uno che in campagna elettorale disse di girare con la pistola anche in ospedale (è un primario di Pediatria). E che fu sconfitto al primo turno.

Ora, al di là della straripetuta formula della “naturale dialettica interna alla maggioranza” e del mantra che “dopo la Sardegna siamo più uniti che mai”, l’alleato Salvini in queste tornate regionali non eviterà lo scontro con la leader. La domanda semmai è: fino a che punto? Nel centro-sinistra credono che si possa arrivare alla rottura. Un secondo Papeete, come nell’agosto del 2019 con Salvini che fece saltare il governo gialloverde (Conte uno), per poi però restare fuori dal successivo. Sembra ormai difficile impedire che lo scontro degeneri, considerata la posta in gioco.

Per il segretario della Lega, pressato da dentro e fuori il partito, è in ballo la sopravvivenza politica – e la costruzione del ponte sullo Stretto. Dalle regionali in Sardegna il Carroccio è uscito senza ruote (poco più di 25 mila voti, il 3,8%) alimentando le voci del Nord – e del nuovo movimento di Umberto Bossi – che sulla linea del segretario ormai sparano bordate. Ma se Salvini è uno disposto a tutto, è noto, sarà la casella del Veneto a decretare la contesa. Tutto balla sul terzo mandato di Luca Zaia, che la Meloni non contempla nella sua strategia di onnipotenza. Da qui il lancio nella partita del coordinatore veneto di Fratelli d’Italia, senatore e sindaco di Calalzo di Cadore, Luca De Carlo.

L’Abruzzo in tutto questo c’entra parecchio. Confermare un altro suo fedelissimo alla guida, Marco Marsilio, per la Meloni significa poter continuare la partita con il riottoso alleato senza temere agguati e colpi di coda. Per traghettare, con il suo tocco magico, la sua leadership fino al voto per le Europee del prossimo giugno. Ecco, a giugno si saprà chi tra i due sarà il vincitore. Diverso invece, molto diverso se sotto il Gran Sasso dovesse prevalere Luciano D’Amico, sostenuto da un campo largo come mai nel centrosinistra. Perchè allora, sulle caselle delle Regionali che verranno, Salvini ragionerà così: “cara Giorgia, ti ho lasciato Sardegna e Abruzzo, ed è andata come è andata. Ora lascio pure la Basilicata (si voterà il 21 e 22 aprile) a Forza Italia. A questo punto sul Veneto non potete mettere becco”. Sistemando Zaia per un terzo giro – è dato vincente 10 a 0 – potrebbe così eliminare un pericolosissimo rivale nella futura sfida per la guida della Lega.

Insomma, all’oggi è evidente che se la maggioranza di governo inciamperà sarà per autocombustione interna, con gli alleati incapaci di restare in piedi. Collezionando errori su errori, come quelli della Meloni sulla scelta dei candidati e ancor più quello che ha visto FdI bocciare in Parlamento il terzo mandato per sindaci e governatori di Regione. Ma c’è già chi obietta: “A quel punto la destra si accorgerebbe di aver indebolito, con gli errori di Meloni (contraria al terzo mandato proprio per stoppare Zaia e lanciare De Carlo), una candidatura altrimenti fortissima”.

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