Un appuntamento attesissimo, quello della prossima notte degli Oscar che assegnerà le preziose statuette per i migliori film e i migliori attori/attrici. E che vedrà, tra le pellicole in gara, anche un pezzo di Italia. L’opera Io Capitano di Matteo Garrone è infatti in corsa per aggiudicarsi il premio come Miglior Film Straniero, anche se dall’altra parte dell’Oceano non tutti sembrano averla apprezzata fino in fondo. In queste ore, infatti, il New York Times si è lanciato in un duro attacco contro il film del regista italiano, con un articolo firmato dal giornalista Richard Braude nel quale si accusa Garrone di aver voluto raccontare “solo una parte della storia”, con riferimento al tema dei migranti al centro della pellicola.
“Non dovremmo perdere di vista il fatto che, a prescindere dalla vittoria o meno del film agli Oscar, l’Italia continua a imprigionare gente che meriterebbe invece di essere premiata” ha raccontato Braude. Secondo il giornalista, il film mostra “un mondo più semplice di quello reale, perché evita di affrontare il ruolo dell’Europa nel rafforzamento dei suoi confini mentre la punizione dei capitani è coperta dai titoli di coda”.
Perché “quel che succede dopo a gente come Seydou è l’arresto, l’interrogatorio, lunghi processi e nella maggior parte dei casi la prigione” ha scritto Braude con riferimento a uno dei protagonisti del fim. Precisando che “chiunque assiste una barca di migranti nel Mediterraneo può essere accusato di traffico di persone, sia che siano operatori umanitari, sia che siano migranti che per un qualche motivo hanno preso il controllo dell’imbarcazione”. Se il film di Garrone è ispirato in parte alla storia di Fofana Amara, giovane della Guinea che ha evitato il carcere “molti altri non sono stati così fortunati”.