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Bari, il boss intercettato mentre comprava voti per il centrodestra: “Decaro non dà niente”

Pubblicato: 21/03/2024 14:39

“Decaro non dà niente…Sono quelli che stanno dando un sacco di soldi… Stanno andando tutti quelli di Bari Vecchia, perché stanno dando i soldi, hai capito?”. Questa una delle frasi pronunciate da Michele De Tullio, esponente del potente clan Parisi, conversando con Tommaso Lovreglio, nipote del boss Savino Parisi a spiegazione di come andassero le cose durante la campagna elettorale per il rinnovo del Consiglio comunale nel 2019 a Bari.

De Tullio è ritenuto dalla Dda uomo chiave per l’ascesa politica della consigliera Maria Carmen Lorusso, eletta cinque anni fa in Comune con il centrodestra (e poi passata nella maggioranza di centrosinistra, con la contrarietà del sindaco Antonio Decaro) anche grazie ai voti della mafia.
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L’inchiesta “Codice interno”

Lo scorso 19 marzo il ministro dell’Interno Piantedosi ha firmato provvedimento di accesso ispettivo nei confronti del Comune di Bari, per la nomina di una commissione incaricata di verificare un’eventuale ipotesi di scioglimento del Comune. Un atto, ha spiegato il Ministero in una nota, che “si è reso necessario in esito ad un primo monitoraggio disposto dal Viminale” in relazione a quanto emerso nell’ambito dell’inchiesta giudiziaria sfociata, meno di un mese fa in 130 arresti che hanno coinvolto anche l’ex consigliera Lorusso, e dal decreto che ha disposto l’amministrazione giudiziaria per l’Amtab, società municipalizzata di trasporto pubblico.

Il 19 febbraio 2019 Lovreglio sollecitava De Tullio: “Daglielo qualche voto a Di Rella” riferendosi a Pasquale Di Rella all’epoca concorrente (poi vittorioso) alle Primarie del centrodestra per la scelta del candidato sindaco, che avrebbe sfidato l’uscente Antonio Decaro. Di quest’ultimo De Tullio diceva chiaramente “Decaro non dà niente”. E, per spiegare ancora meglio aggiungeva: “A me non me ne frega… Decaro, Di Rella, sono tutti una chiavica…. Ma a quello i soldi non gli mancano”.

Ovvero chiariva che i voti che avrebbe potuto muovere – tra parenti, amici ad affiliati al clan –sarebbero stati indirizzati non in base a una scelta ideologica ma verso il candidato che offriva di più. Decaro era quindi fuori dai giochi, perché era risaputo che non pagava, per cui sarebbe stato necessario compulsare Olivieri, che stava già promettendo denaro agli elettori di altri quartieri.

L’inchiesta “Codice interno” vede coinvolte persone ritenute responsabili, a vario titolo di associazione di tipo mafioso, estorsioni, porto e detenzioni di armi da sparo, illecita commercializzazione di sostanze stupefacenti, turbata libertà degli incanti, frode in competizioni sportive, tutti reati aggravati dal metodo mafioso, nonché del reato di cui all’articolo 416 ter del codice penale (scambio elettorale politico-mafioso). In base alle indagini della Dda sarebbe stata documentata una presunta ingerenza elettorale politico-mafiosa, in particolare di consorterie criminali di stampo mafioso come i Parisi-Palermiti e gli Strisciuglio, nelle Elezioni Comunali di Bari del 26 maggio 2019. 

Reato di voto di scambio politico-mafioso

La Dda ha contestato, tra l’altro, il reato di voto di scambio politico-mafioso e ricostruito la rete che l’avvocato Olivieri aveva messo in piedi grazie a esponenti di diversi clan. C’è uno scatto che ha ha incuriosito gli inquirenti ed è quello del nipote del boss che la notte del 24 febbraio 2019 si reca all’hotel Sheraton di Bari, dove si erano svolte le Primarie, probabilmente – ipotizzano gli investigatori – per riscuotere la contropartita dei voti che aveva messo a disposizione. La stessa cosa avrebbe fatto cinque anni prima, quando Giacomo Olivieri aveva sfidato Antonio Decaro alle Primarie del centrosinistra per la scelta del candidato sindaco.
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Ultimo Aggiornamento: 21/03/2024 14:44