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Conte so tutto io: perché al leader 5 Stelle fa comodo scaricare il Pd

Pubblicato: 06/04/2024 12:18
conte schlein

L’ambizione come valore politico portata all’ennesima potenza. Fino a sfiorare la non edificante definizione di opportunismo. La stoccata di Giuseppe Conte al Pd era nell’aria e il caso Puglia è sembrato agli osservatori meno attenti soltanto il pretesto per certificare quanto il leader dei 5 Stelle ritiene ineluttabile: essere lui il riferimento della coalizione anti-Meloni, garantendosi il diritto a primeggiare per tornare (non si sa quando) a Palazzo Chigi.
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Conte ha lanciato la sua nuova Opa ostile al partito guidato da Elly Schlein, lui più che mai convinto che mettere in difficoltà i (presunti) alleati di coalizione sia il metodo giusto per sorpassarlo alle elezioni. Per garantire così al suo partito personalizzato, un futuro politico di lungo avvenire. Altro che campo largo o campo giusto: mentre dalla maggioranza al governo si sprecano battute sulle spaccature della sinistra, gli osservatori più teneri ricordano che in vista del voto per le Europee, con sistema proporzionale, ogni partito deve radicalizzare la sua posizione per inseguire consensi e, si spera, voti. Incuranti, sembra, di quanto accadrà dopo il 9 giugno nelle coalizioni: riattaccare i cocci tra i pezzi mandati in frantumi oggi sarà possibile domani?

Cosa rappresenta Giuseppe Conte, per se stesso e per gli altri

I fatti non sono opinioni, ma contribuiscono (e parecchio) a farle maturare. Quanto messo in fila da Conte, dal momento della sua comparsa dal nulla sulla scena politica italiana, parla eccome. Difficile stabilire se l’ambizione personale, il culto dell’ego che mostra pervicacemente, sia maturata durante la sua permanenza a Palazzo Chigi, prima con la Lega come compagna di viaggio e poi con il centrosinistra. Ma da qui a promuoverlo a leader della coalizione da contrapporre alla destra-centro, sia che questo si concretizzi alle elezioni amministrative, europee o – chissà quando – politiche, ce ne passa.

Tutto o quasi nell’agire e nel dire di Conte è difficilmente inquadrabile in un pensiero progressista e di sinistra (come non ricordare l’abbraccio con Salvini al governo, con i decreti anti-immigrati? O il suo rapporto con gli Usa più vicino a Trump che a Biden?). Stando a questi giorni convulsi, culminati con il M5S ritirato dalle primarie di Bari per spingere il suo candidato Michele Laforgia, i segnali lanciati da Conte erano stati chiari. A cominciare dalla vittoria alle elezioni regionali in Sardegna: era solo lo scorso febbraio e quel vento di cambiamento s’è spento subito (non parliamo del ko in Abruzzo), certificando uno dei modus operandi di Conte: il così detto campo largo è condiviso dal M5S solo se il candidato è loro e non di altri partiti. Del Pd meno che mai. “Solo un taxi per sognare un fantascientifico ritorno a Palazzo Chigi”, sottolinea qualche osservatore.

La maggioranza alternativa alla destra-centro appare oggi, ma anche domani visto l’orientamento di quegli italiani che vanno a votare, un’illusione. Certificando l’attuale incapacità politica e programmatica di costruire l’alternativa, cosa fa Conte? Manda tutto in frantumi, rinfacciando poi le accuse a Schlein che lo bolla come “sleale, umanamente e politicamente, uno spregiudicato che vuol far vincere la destra”. Forse è nel rapporto con Schlein che sta il non detto della sortita del leader 5 Stelle, sicuro che togliendole l’amicizia potrà minare il progetto del Pd attuale: accordarsi con il M5S per costruire l’alternativa credibile, aggregando poi – gioco forza – anche il terzo polo o quel che ne sarà un domani.

Con i fatti di Puglia, secondo la lettura di Conte, questo progetto può e deve saltare. «Ci saranno conseguenze, per noi sarà sempre più difficile lavorare con il Pd anche a livello nazionale se non ritirano l’accusa di slealtà. La respingo al mittente, esigo rispetto, sennò ne prenderemo atto». Ovvero, pare di capire, lui insisterà fino a mettere in discussione pure la leadership della segretaria dem, che ora tutti si attendono presa di mira dal fuoco amico interno e dell’ancestrale tafazzismo dei dem. Partito comunque alle prese con i nodi delle candidature per le europee, con la nomenklatura che sgomita. Insomma, Conte non ha resistito “e dopo aver sentito l’odore del sangue del Pd e gli è saltato alla gola, da nemico puro e non da aspirante leader comune. Mostrandosi disponibile all’alleanza solo se a guidarla è lui”, ha osservato oggi il Corriere della Sera.

Ma Conte potrebbe avere sbagliato i suoi calcoli se la Schein metterà da parta le sue incertezze, dando un nuovo volto alla sua leadership e cogliendo questa fase critica come un’opportunità per rimettere il suo partito al centro del villaggio progressista. Così Schlein ha parlato ieri, sul palco a Bari, di “sberla” agli elettori e alle “persone perbene” da parte di Conte. Aggiungendo: “Capisco che chi ha iniziato a far politica direttamente da Palazzo Chigi forse non ha tanta dimestichezza con la militanza di base, con la fatica di costruire percorsi democratici collettivi, come chi monta i gazebo per le primarie. Ma pretendo si abbia rispetto per questa comunità”.

Come ha commentato un osservatore attento come Massimo Franco, “la verità è che tra Pd e M5S è in atto una competizione ferocenon solo in vista delle Europee, ma sul dopo. E non è difficile prevedere che comunque vadano, se Conte non si riterrà gratificato nelle sue ambizioni, si accentuerà l’opzione delle “mani libere”. Basterà puntare il dito sulla questione morale del Pd, come nel caso di Bari, per fornire appigli e pretesti sia alla maggioranza di governo, sia ai grillini; o sul carattere “post-ideologico” del Movimento: una sublimazione dell’opportunismo che in passato gli ha permesso di allearsi prima con la Lega, poi col Pd, poi con quasi tutti».

Ultimo Aggiornamento: 11/04/2024 13:00