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Armani, questione di stile: quando il caporalato non è fashion

Pubblicato: 08/04/2024 14:56

La vicenda della misura cautelare di amministrazione giudiziaria di Armani Operation, società del gruppo Armani che si occupa dell’ esternazionalizzazione della propria produzione, per caporalato è vicenda sconfortante. Il gruppo Armani fattura oltre 2,6 mld, con ricavi in crescita ed ebitda significativo a quota 290 mln. L’azienda non è quotata, quindi non deve sottostare a fondi d’investimento che ragionano esclusivamente sul dividendo di borsa. Gestire dei subappalti è normale per aziende che si concentrano fondamentalmente nel software di sistema, creatività, marketing e sviluppo commerciale. Ma non gestire con regole qualitative la filiera produttiva, in questo caso con sconfinamenti sull’illegalità, è paradigmatico dell’incapacità italiana di capire cosa è il valore aggiunto.
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La reputation è fondamentale per la creazione di un brand e per la sua conservazione. Il caporalato, con condizioni di semischiavitù nella civile Lombardia, con cinesi clandestini pagati pochi centesimi a cottimo per accessori di alto valore al prezzo di vendita, da il limite dell’industria italiana. Non se lo poteva permettere nemmeno una maison di decisamente meno appeal, come Alviero Martini, scoperta in queste pratiche all’interno dello stesso filone d’indagine, ma certamente vedere Re Giorgio, l’ambasciatore dell’italian style nel mondo, l’uomo più glamour ed elegante del pianeta, implicato in queste cose fa cadere le braccia. Lo stile di un uomo lo vedi da come sa stare al mondo, il sapere campare, anche quando ti costa, perché il giusto salario fa la differenza tra un capitano d’impresa ed un parvenu. È inutile parlare di salario minimo quando uno degli uomini più famosi del mondo realizza i suoi costosi accessori con lo sfruttamento sotto casa di immigrati clandestini a pochi spiccioli. Processualmente Giorgio the King non avrà, probabilmente responsabilità: ci sarà, forse, qualche improvviso manager a pagare il conto di questa figura di sheet globale, ma la perdita di reputazione è certa. In questo caso con la truffa della italianità visto che non c’è stata delocalizzazione. Era così difficile controllare i subappaltatori, le certificazioni, gli audit dove sono? 

Niente, nessun controllo, per una perdita di reputazione che potrebbe fare passare l’Armani Cafè a ciofeca. Mettendo in dubbio tutta la filiera del Fashion made in Italy. 

Ultimo Aggiornamento: 08/04/2024 16:08