
C’era una volta il ceto medio spina dorsale di una nazione in marcia verso il futuro. Oggi c’è ancora, ma vive nella paura di scendere sempre di più nella scala sociale. Tanto che il 54,2% degli italiani avverte un senso di declassamento, come se sentisse di andare indietro nell’evoluzione della propria vita.
A testare lo stato di salute della classe media del Paese ci ha provato la Cida, Confederazione italiana dirigenti(quindi quadri e alte professionalità del settore pubblico e di quello privato), chiedendo un’indagine al Censis – presentata oggi alla Camera – sui valori percepiti dal ceto medio per l’economia e la società. I risultati sono scoraggianti. Tra i tanti, il dato su quel 59,7% di italiani che percepisce come il suo tenore di vita stia calando (sensazione che avverte anche un 40% dei benestanti). E ancora: il calo è percepito dal 74,4% di chi ha un reddito fino a 15 mila euro, e qui è comprensibile. Ma che dire del 40,3% che presenta redditi da 50 mila euro e oltre?
Qualcosa non torna con la retorica ottimistica a buon mercato spacciata ogni giorno dal governo italiano. Sull’operato del quale, a leggere i diversi indicatori economici (spiccano quelli dell’Istat: ultimo quello sulla povertà), si registra una continuità di risultati in linea con i precedenti. A voler essere benevoli. “Assistiamo da tempo a una lenta erosione del ceto medio, ma oggi il fenomeno è accelerato e rischiamo di perdere il motore della nostra economia. Il 60,5% degli italiani si identifica con il ceto medio, ma più di uno su due prova un senso di regressione sociale e il 75% ritiene che sia più difficile salire nella scala sociale”.

Generazioni future che non nutrono speranze né sogni di miglioramento
Questa “assenza di speranza nel futuro” preoccupa Stefano Cuzzilla, presidente della Cida. Il quale non può che registrare che se le aspettative calano, se non si crede di poter migliorare la propria condizione “e se si ritiene che le generazioni future staranno peggio di quelle attuali, sarà il Paese intero a pagare un prezzo altissimo”. Perché poi, la riflessione aggiuntiva, è che tra quel 54,2% che si sente declassato spiccano il 45,7% dei dirigenti, il 54,5% di imprenditori e commercianti, il 50% di impiegati, insegnanti e professioni intermedie. Insomma, se chi prende decisioni o dirige non ha buone prospettive, figuriamoci chi rappresenta la forza lavoro. “Serve una riforma fiscale coraggiosa che aiuti il ceto produttivo, pilastro della società”, suggerisce Cuzzilla, leader di Federmanager.
In sostanza sipercepisce in Italia un blocco della mobilità sociale. Fattore che unito alla “diffusa certezza” che l’andamento del benessere nel tempo sarà decrescente, porta il 66% degli italiani a dire che stavano meglio le generazioni di prima. Ergo, viene da dire, che le generazioni future staranno peggio di quelle attuali: questo lo crede il 76,1% dei cittadini. Di questo passo non ci si può stupire, in fondo, se il 57,9% pensa che in Italia l’impegnarsi nel lavoro e il talento non sono caratteristiche premianti. Altro elemento che cozza con l’istituzione, salutata come un segno distintivo del governo diretto da Giorgia-annunciazione Meloni, di un ministero dell’Istruzione e del Merito.
Dall’analisi del Censis spuntano inoltre orientamenti comuni che sembrano fuori asse rispetto ai concetti ripetuti da molti esponenti politici di maggioranza. Un esempio: ricordate l’affondo della premier sulle tasse (“Non penso e non dirò mai che le tasse sono una cosa bellissima”, 13 marzo scorso)? Ebbene, per l’80,6% degli italiani la fiscalità è senz’altro utile per “premiare” di più e meglio chi crea impresa, lavoro, opportunità. Vale per l’82% di chi si ritiene di ceto medio, ma anche per l’84,8% dei benestanti.
In tema di slogan poi come non rimarcare la battaglia dell’attuale maggioranza per una commissione parlamentare sull’emergenza Covid (“Non replicheremo mai misure liberticide come quelle adottate durante la pandemia”, Giorgia Meloni ottobre 2022)? Dal report emerge che il Servizio sanitario nazionale per il 65,6% degli italiani ha tenuto nel tempo, nell’emergenza – con le necessarie misure prese per contrastare il Covid – e nell’ordinarietà grazie all’abnegazione dei medici; il 74,5% ha fiducia nei medici ospedalieri e il 71,6% in quelli di medicina generale.