
La Cassazione ha emesso una sentenza definitiva riguardante il femminicidio di Roberta Siragusa, avvenuto il 21 gennaio 2021 a Caccamo, in provincia di Palermo, condannando Pietro Morreale all’ergastolo. Roberta Siragusa fu prima colpita con un sasso, poi bruciata viva nei pressi dello stadio e infine gettata in un dirupo.
Morreale, all’epoca 19enne, è stato accusato e condannato sia in primo grado che in appello per il delitto. Nonostante la fermezza delle prove raccolte, tra cui la testimonianza di una telecamera di sicurezza che riprese parte dell’aggressione e il ritrovamento del corpo carbonizzato, Morreale non ha mai ammesso la sua responsabilità. Inizialmente, egli sostenne che Roberta si fosse suicidata, ma tale versione è stata smentita dall’esame autoptico che ha confermato l’omicidio. I genitori e il fratello di Roberta Siragusa si erano costituiti parte civile nel processo, supportando la ricerca di giustizia.
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Il sostituto procuratore generale nella requisitoria era stato categorico: “Da un lato si sottolinea l’assoluta crudeltà dell’agito, sulla quale neppure è il caso, per l’eccezionale gravità della vicenda, e per le sofferenze prodotte alla vittima dell’orrendo crimine, di dire alcunché. Dall’altro si rimarcano le ulteriori aggravanti sussistenti, ovvero la relazione affettiva in essere e la premeditazione”. A cui si aggiunge, proseguiva, “la condotta tenuta dall’imputato, utilitaristicamente adeguatasi alle situazioni esterne e mai spontanea, anzi, per meglio dire, connotata di diverse falsità, né mai evidenziante un qualche, effettivo, pentimento per l’accaduto”.
La gelosia e la violenza “risultano provate in modo schiacciante e conclamato” Morreale aveva un “senso patologico del possesso, insofferenza verso gli spunti di libertà dalla vittima, pregressi episodi di violenza fisica”. Doveva essere sua o di nessun altro. I carabinieri e la Procura hanno ricostruito un precedente tentativo di strangolarla.