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Omicidio vigilessa Sofia Stefani, smontata la versione dell’incidente: “Gualandi voleva ucciderla”

Pubblicato: 18/07/2024 19:51

La morte di Sofia Stefani è stata confermata come femminicidio, perpetrato dall’ex comandante Giampiero Gualandi il 16 maggio scorso negli uffici del comando della Polizia locale di Anzola Emilia. Per il tribunale del Riesame di Bologna è “tutt’altro che remota” l’ipotesi che Giampiero Gualandi possa aver finito per non reggere più la pressione emotiva esercitata su di lui dagli atteggiamenti “assillanti o persecutori” di Sofia Stefani, “fino a perdere il controllo al punto da vedere nell’eliminazione fisica della persona che costituiva il proprio problema l’unica via d’uscita percorribile per riguadagnare la perduta stabilità psicologica”. Lo scrivono i giudici, motivando la decisione di confermare la custodia cautelare in carcere per il 62enne ex comandante della polizia locale di Anzola Emilia, accusato dalla Procura dell’omicidio volontario aggravato dell’ex collega 33enne, con cui aveva avuto una relazione.
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Il Riesame smonta la versione difensiva di un incidente, secondo cui sarebbe partito un colpo per errore durante una colluttazione nel comando della Polizia locale. Sono diversi gli elementi che smentiscono l’ipotesi che Gualandi avesse l’arma casualmente in ufficio per pulirla. L’ex comandante ora in carcere, viene ricostruito, aveva portato con sé la pistola, prelevandola dall’armeria, per usarla contro la giovane donna, sapendo o comunque ritenendo altamente prevedibile l’arrivo nel suo ufficio di Sofia Stefani. Appare inverosimile, stando agli elementi raccolti, anche l’aggressione da parte della vittima.

Sofia Stefani è stata uccisa il 16 maggio negli uffici del comando della Polizia locale del paese nel Bolognese. Per i giudici del Riesame, che si mostrano concordi con quanto stabilito dal Gip,  sussistono le esigenze cautelari nei confronti di Gualandi. L’assenza di precedenti e l’aver vissuto onestamente, come sostenuto dal difensore di Gualandi, l’avvocato Claudio Benenati,  per i giudici sono dati “relegati in assoluto secondo piano, scadendo ad elementi puramente formali, a fronte di un femminicidio efferato, realizzato sparando alla vittima con l’arma di ordinanza, e soprattutto, architettato pensando nel contempo anche alla giustificazione postuma per cercare di simulare la tragica fatalità”.

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