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Alessia Pifferi, la Corte d’Assise di Milano si è espressa: “Reato di elevatissima gravità umana”

Pubblicato: 08/08/2024 22:43

Alessia Pifferi, condannata all’ergastolo per aver lasciato la figlia Diana da sola in casa per quasi sei giorni, provocandone la morte per “stenti e disidratazione”, ha agito spinta da un “futile ed egoistico movente”, ossia “regalarsi un proprio spazio di autonomia”, trascorrendo un lungo weekend con il compagno. Questo comportamento, secondo la Corte d’Assise di Milano, ha violato il fondamentale dovere di prendersi cura della figlia, una bambina di un anno e mezzo, configurando un reato di “elevatissima gravità” sia sul piano giuridico che umano e sociale.
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La sentenza, emessa il 13 maggio scorso, ha condannato la donna, all’epoca dei fatti 36enne, all’ergastolo per omicidio aggravato da futili motivi e dal vincolo di parentela. Nelle 53 pagine delle motivazioni, redatte dal giudice estensore Alessandro Santangelo e dal presidente della Corte Ilio Mannucci Pacini, si descrive come il 20 luglio di due anni fa la piccola Diana sia stata trovata senza vita nel suo lettino da campeggio, con accanto solo un biberon e una bottiglietta d’acqua vuoti. Nel resoconto si evidenzia anche la presenza di una boccetta di tranquillante En, che la madre avrebbe somministrato alla bambina nelle settimane precedenti, seppur in piccole dosi.

L’esito della perizia

L’esito della perizia psichiatrica ha stabilito che Alessia Pifferi era pienamente capace di intendere e di volere, e che era consapevole della pericolosità del suo comportamento. La donna, infatti, aveva ammesso di essere cosciente del rischio che la sua condotta comportava per la vita della figlia, che aveva lasciato sola in un appartamento senza cibo per bambini e senza la presenza di una babysitter, mentre lei si trovava con il compagno, che non era il padre della piccola. Nel frigorifero e nella dispensa non c’erano alimenti per Diana, ma in casa sono stati trovati molti abiti, prevalentemente da sera, segno di una preparazione meticolosa per il proprio svago.

La Corte ha inoltre sottolineato che, avendo abbandonato la figlia anche in altre occasioni, Pifferi era ben consapevole delle precarie condizioni in cui la stava crescendo. Questo comportamento dimostra una consapevole esposizione della bambina al rischio di morte, aggravando ulteriormente il reato con i futili motivi e il rapporto madre-figlia.

Infine, la Corte non ha concesso attenuanti generiche, considerando la “deresponsabilizzazione” dimostrata da Pifferi durante il processo, in cui ha tentato di giustificare il suo comportamento con argomenti falsi e ha cercato di attribuire la colpa della tragedia al compagno, rivelando una mancanza di consapevolezza critica del proprio gesto.

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Ultimo Aggiornamento: 11/10/2024 14:42

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