Gli investigatori non hanno avuto più dubbi su Moussa Sangare, il trentenne accusato dell’omicidio di Sharon Verzeni, grazie a una serie di prove schiaccianti. Le sue dichiarazioni, piene di circostanze palesemente false, sono state smascherate dalle immagini delle telecamere di sorveglianza e dalle intercettazioni effettuate tra lo stesso Sangare e i due testimoni che lo avevano riconosciuto.
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Il PM Emanuele Marchisio, in collaborazione con gli inquirenti, ha sottolineato come Sangare abbia inizialmente cercato di difendersi con falsità evidenti, per poi crollare e confessare. Inizialmente, aveva negato di essere stato a Terno d’Isola negli ultimi mesi, ma le indagini hanno dimostrato il contrario. Come riportato nell’ordinanza del GIP Raffaella Mascarino, che ha convalidato il fermo e disposto la custodia cautelare, Sangare ha ammesso la sua presenza solo quando gli sono stati mostrati i video delle telecamere che riprendevano il suo percorso notturno.
Nonostante la confessione, ha cercato di attribuire la colpa a un fantomatico complice, di cui ha fornito una descrizione vaga. Nella sua versione, Sharon sarebbe stata in compagnia di un amico, con cui avrebbe discusso e che poi l’avrebbe accoltellata. Tuttavia, questa ricostruzione non ha retto: le telecamere mostrano chiaramente la giovane passeggiare da sola per tutto il tragitto antecedente l’omicidio.
Un’ulteriore bugia è emersa quando Sangare ha affermato di essersi tagliato i capelli due o tre mesi prima dell’interrogatorio. Tuttavia, la loro lunghezza molto corta ha suggerito che il taglio fosse avvenuto molto più di recente. Questa e altre incongruenze hanno ulteriormente aggravato la sua posizione.
Per motivi di sicurezza, è stato trasferito dal carcere di Bergamo a quello di San Vittore a Milano, dopo che alcuni detenuti avevano tentato di aggredirlo con bottiglie incendiarie. La combinazione di video, intercettazioni e le sue menzogne smascherate hanno definitivamente incastrato Sangare.