Aveva compiuto 18 anni da pochi mesi ed è morto carbonizzato a Milano, nella cella del carcere di San Vittore – il più sovraffollato d’Italia – dove era recluso in attesa del processo. Tutto è capitato velocemente, di notte, tra giovedì e venerdì. Un incendio è divampato, probabilmente da un materasso, nella stanza che Youssef Mokhtar Loka Barsom, di origini egiziane, condivideva con un altro detenuto, che è riuscito a salvarsi ed è ora indagato. Arrivato in Italia da solo a 15 anni, dopo aver attraversato i lager libici e vissuto tra violenze e abusi, Youssef ha avuto un’esistenza segnata da traumi, difficoltà cognitive e una totale mancanza di educazione scolastica.
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Nonostante una perizia che lo aveva dichiarato incapace di intendere e volere, riconoscendo un grave deficit cognitivo e sociale, il sistema non ha saputo offrirgli le cure necessarie. Il Tribunale per i minorenni aveva disposto per lui il collocamento in una comunità terapeutica, dove avrebbe dovuto ricevere supporto psicologico e medico. A causa della mancanza di posti in queste strutture specializzate, Youssef è stato mandato in comunità educative meno attrezzate a gestire il suo complesso quadro psichico.
Dopo un periodo nella comunità “Il Gabbiano” di Morbegno, da cui era scappato, Youssef aveva commesso un nuovo reato a Milano, finendo nel carcere di San Vittore, nonostante fosse stato dichiarato incompatibile con la detenzione carceraria. Il 6 settembre, Youssef è morto in circostanze ancora da chiarire: un incendio nella sua cella, probabilmente causato da un materasso dato alle fiamme. Le autorità stanno indagando per omicidio colposo, mentre rimangono molti dubbi sulla natura dell’incendio e sulla gestione del caso.
Di Youssef ne ha parlato Chiara Poletti che per due anni ne è stata la tutrice legale. “Confrontandoci con la famiglia sapevamo che Youssef ha sempre avuto qualche difficoltà ma sicuramente il suo percorso migratorio ha acuito il trauma. Aveva bisogno di una comunità terapeutica, pensata apposta per ragazzi con fragilità, ma per lui non c’era mai posto: era una persona di serie B. Finalmente, dopo molti mesi, insieme agli assistenti sociali siamo riusciti a trovargli un posto. Era troppo tardi: quando stai male hai bisogno di essere curato subito e nel frattempo, come qualsiasi altra malattia fisica, le sue condizioni mentali si erano aggravate molto. E così, in un momento di agitazione, Youssef è scappato dalla comunità”.
La morte di Youssef rappresenta non solo un altro triste episodio in un anno drammatico per le carceri italiane, ma anche il fallimento del sistema di protezione per i giovani più vulnerabili. Le sue sofferenze e il mancato accesso alle cure necessarie hanno portato a una fine tragica e ingiusta. Venerdì 15 settembre, una commemorazione pubblica a Milano ha ricordato la sua morte prematura.