Secondo l’Istat il 28,8% delle famiglie italiane non si fida dell’acqua del rubinetto di casa, malgrado questa sia la più controllata e sicura. Già, perché è prelevata per la quasi totalità da falde sotterranee, e poi analizzata ed eventualmente trattata per rispettare 59 parametri. Eppure, tutti comprano l’acqua commerciale, nelle bottiglie di plastica. Negli ultimi tempi, però, sta crescendo, e molto, il mercato degli apparecchi di filtraggio. Secondo i dati di Confindustria, nelle cucine degli italiani ci sono 8,9 milioni di apparecchi per il trattamento dell’acqua. Vuol dire che li sta utilizzando il 38% delle famiglie. E proprio questi filtri per i nostri rubinetti hanno catturato l’attenzione di Milena Gabanelli che a loro ha dedicato la sua ultima inchiesta per la Data Room del Corriere. La domanda che si fa la giornalista è molto semplice: questi apparecchi servono davvero? Vediamo a quali conclusioni è arrivata.
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Come spiega Gabanelli, i prodotti in commercio sono centinaia, ma sostanzialmente si dividono in tre categorie:
1) Le caraffe filtranti: l’acqua passa all’interno di una cartuccia con carboni attivi che trattiene il cloro e, se il filtro contiene resine, anche parte dei minerali disciolti. Sono gli apparecchi più diffusi (13,6% delle famiglie) e costano poche decine di euro.
2) Filtri applicati al rubinetto: in genere si limitano a togliere il cloro e a eliminare le sostanze in sospensione (rilasciate eventualmente da tubature obsolete) senza intaccare i minerali disciolti. Presenti nel 12% delle case, il prezzo può arrivare fino a 2/300 euro.
3) I sistemi di microfiltrazione: si installano sotto ai lavandini e l’acqua viene spinta attraverso una serie di membrane che sono in grado di rimuovere tutto, dipende dalla capacità di filtraggio. Quelli a osmosi inversa producono un’acqua praticamente distillata e quindi, per renderla bevibile, l’apparecchio reintegra almeno una parte dei sali minerali o la miscela con l’acqua del rubinetto. È la soluzione più costosa (dai mille agli oltre 3mila euro) e si stima sia presente nel 4,4% delle abitazioni ma è anche quella che va «di moda» e che più sta spingendo il mercato”. Sono sistemi sicuri?
La risposta è sì, perché questi apparecchi sono disciplinati da leggi europee, italiane e dalle linee guida dell’Istituto Superiore di Sanità. A condizione che venga effettuata la corretta manutenzione e regolazione. Spiega infatti Gabanelli: “In caso contrario, nella migliore delle ipotesi sono inutili (un filtro saturo non filtra più nulla), nella peggiore rilascia tutto quello che fino a quel momento ha trattenuto, o favorisce la formazione di colonie di batteri che potrebbero provocare una gastroenterite. Inoltre, gli esperti raccomandano di non conservare per troppo tempo l’acqua in un contenitore (incluse caraffe e vaschette di raccolta) perché aumenta il rischio di contaminazione”. Allo stesso tempo, l’Organizzazione mondiale della sanità mette in guardia da un filtraggio eccessivo perché “può comportare la riduzione dell’assunzione complessiva di sali minerali nutritivi da parte dei consumatori”, visto che la quantità di nutrimenti e sali minerali che assumiamo bevendo varia tra l’1 e il 20% del fabbisogno, mentre il resto ci arriva dagli altri alimenti.
Partendo dal presupposto che l’acqua del rubinetto è già potabile e sicura, per l’Iss questi filtri “hanno la sola finalità di modificare le caratteristiche organolettiche delle acque”, cioè rendono più gradevole il sapore e l’odore. Il vero problema sono quei produttori che vogliono farci credere che, filtrandola, avremo un’acqua con caratteristiche miracolose. E che sono stati puntualmente multati dall’Antitrust.