
Nel tribunale di Caltanissetta, l’accusa è rivolta allo Stato. Quattro agenti di polizia di Palermo (Maurizio Zerilli, Giuseppe Di Gangi, Vincenzo Maniscaldi e Angelo Tedesco) sono accusati di aver depistato le indagini, mentendo nel processo volto a far luce sul falso pentito Vincenzo Scarantino. Qualora fossero giudicati colpevoli, sia il ministero dell’Interno che la presidenza del Consiglio potrebbero essere chiamati a risarcire. Questa è la disposizione del giudice dell’udienza preliminare, David Salvucci, che ha accolto le domande delle parti civili, tra cui i figli del giudice Paolo Borsellino e altri familiari delle vittime.
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Questo non è solo un passaggio procedurale per i danni, ma una valutazione chiara che coinvolge i vertici delle istituzioni attive nei primi anni Novanta. Non aver vigilato adequatamente sui propri rappresentanti, e addirittura averli protetti, è ciò che viene messo in discussione. Anche se i poliziotti non rispondono direttamente alla presidenza del Consiglio, i servizi segreti sì. Questi furono immediatamente coinvolti nelle indagini sulla strage di via D’Amelio dall’allora procuratore di Caltanissetta, Giovanni Tinebra, ma operarono in modo disordinato. In realtà, non avrebbero nemmeno dovuto condurre indagini su delega della magistratura, cosa vietata ai nostri agenti, ma nessuno ai vertici della presidenza del Consiglio sembrò ricordarlo. Anzi, ci sono crescenti sospetti che i servizi segreti abbiano avuto un ruolo cruciale nel depistaggio delle indagini sulla strage che costò la vita a Borsellino.
All’epoca, i servizi segreti furono coinvolti con la giustificazione che la squadra mobile di Caltanissetta non disponesse delle competenze necessarie per condurre l’indagine sulle stragi. Come ha ribadito il pubblico ministero Maurizio Bonaccorso durante il processo, concluso in appello con una prescrizione per tre imputati (Bò, Mattei e Ribaudo), questa era solo una scusa, perché le indagini vennero effettivamente gestite dalla squadra mobile di Palermo. La questione più grave è stata che tale coinvolgimento dei servizi segreti era «vietato dalla legge», ha sottolineato il magistrato. Infatti, la collaborazione tra l’allora procura di Caltanissetta e membri del Sisde, orchestrata dal genero del capo della polizia Vincenzo Parisi, risultava del tutto illegittima. Bruno Contrada, ex numero tre del Sisde, tentò di minimizzare il suo ruolo, sostenendo che il Sisde avesse fornito solo un sostegno informativo. Tuttavia, nei suoi appunti si trovano menzioni di vere e proprie “indagini” riguardo agli incontri con i pubblici ministeri caltanissettesi. Bonaccorso ha evidenziato come sia possibile che Tinebra si sia affidato a Contrada, nonostante il fatto che l’20 luglio, giorno dopo la strage, il dottor Ingroia avesse riferito a lui riguardo alle rivelazioni fatte dal collaboratore Gaspare Mutolo, che menzionò proprio Bruno Contrada. Emergerebbero così ombre di parti delle istituzioni che per anni hanno oscurato la verità sulla strage di Borsellino, senza che alcuno di questi elementi sia mai stato processato. «Quella collaborazione tra i magistrati di Caltanissetta e il Sisde ha dato origine a frutti avvelenati», ha evidenziato Bonaccorso.
Un documento che desta particolare preoccupazione è quello datato 13 agosto 1992, in cui il Sisde di Palermo comunicava alla direzione (protocollo 2298/z. 3068) la presenza imminente di novità riguardo agli autori del furto della vettura e il luogo in cui era custodita prima dell’attentato.
Si tratta della questione del falso pentito Enzo Scarantino. Gli agenti avevano informazioni affidabili nella polizia? Il capo del centro servizi di Palermo ha negato tale possibilità. Come ha affermato il pm Bonaccorso, l’ex funzionario della squadra mobile Salvatore La Barbera ha confermato in aula che a quel tempo la polizia disponeva di dati insufficienti: “Eravamo lontani dal raggiungere simili risultati”. Erano quindi i servizi segreti a possedere poteri di divinazione? Oppure qualcuno all’interno delle istituzioni era già al lavoro per costruire la figura di Vincenzo Scarantino come un “pupo” manipolato? Con un’altra nota (protocollo 2929/z. 3068), il 19 ottobre il centro Sisde informò sia Roma che la Questura di Caltanissetta riguardo a importanti legami mafiosi di Scarantino. Esponenti della procura hanno definito tutto ciò come un “falso”, ai fini di sostenere la pista sul pentito non attendibile.