
Si avvicina una potenziale svolta nelle indagini riguardanti l’omicidio di Simonetta Cesaroni, la giovane di 20 anni morta accoltellata 27 volte all’interno degli uffici dell’Aiag, l’associazione italiana degli ostelli della gioventù, a Roma, nel pomeriggio del 7 agosto 1990. Dalla recente ricerca del settimanale “Giallo” di Cairo Editore, risulta che una collega di Simonetta potrebbe essere stata presente al lavoro il giorno del delitto, sebbene abbia sempre negato questa possibilità. Perché? Aveva forse visto l’assassino?
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Grazie all’analisi di alcuni fogli di firma, ritrovati solo di recente dopo 34 anni dalla loro scomparsa, il settimanale ha rivelato che Giusy Faustini, una collega di Simonetta, si trovava in ufficio quel fatidico martedì. La donna firmò l’entrata ma non l’uscita. Cosa le impedì di farlo? E perché affermò di non conoscere Simonetta? In un’intervista con “Giallo”, il giornalista Gian Paolo Pellizzaro ha condiviso che, due anni dopo l’omicidio, un’altra collega di Simonetta, Luigina Berrettini, gli rivelò che esisteva una “testimone fantasma” legata al caso: Giusy Faustini, che era in ufficio due pomeriggi a settimana, precisamente il martedì e il giovedì. Pellizzaro spiegò di aver comunicato queste informazioni ai magistrati, ma che non ricevette ulteriori aggiornamenti.
Potrebbe questa presunta “testimone fantasma” aver assistito a qualcosa di rilevante? Se sì, di cosa si tratta?
All’epoca, diversi dipendenti dell’Aiag affermarono che Simonetta fosse sola in ufficio durante quell’estate del 1990, ma questo è stato smentito dal ritrovamento dei fogli di firma, aggiungendo un ulteriore pezzo al complicato mosaico di questo mistero. Nel frattempo, il 19 novembre, la procura deciderà se archiviare o meno le ultime indagini relative al caso di via Poma.
Paola Cesaroni, sorella di Simonetta, ha recentemente parlato dopo oltre dieci anni di silenzio: “Era qualcuno che sapeva che mia sorella si trovava in quell’ambiente”, ha dichiarato in un’intervista a Quarto Grado riferendosi all’assassino. Anche Claudio Cesaroni, il padre della vittima, oggi deceduto, era certo: “Sono convinto che il nome dell’assassino di mia figlia si trovi nei documenti”.