I movimenti studenteschi avevano chiesto di organizzare “un minuto di rumore” in ogni classe nel giorno dell’anniversario dell’omicidio di Giulia Cecchettin. Ma il preside del liceo Tito Livio di Padova ha detto “no”: meglio il silenzio o qualche candela accesa. Con questo invito il dirigente dell’istituto in cui studiò Giulia ha respinto ogni ulteriore richiesta. “Ma noi non ci stiamo, portiamo il rumore in ogni classe”, hanno ribadito i ragazzi, annunciando battaglia.
“In tutta Italia, come a Padova, sono tantissime le scuole e le università che nell’anniversario del femminicidio di Giulia Cecchettin hanno deciso di organizzare i “minuti di rumore”, ormai diventati simbolo della lotta alla violenza di genere da parte degli studenti e non solo”, hanno sottolineato gli attivisti della Rete degli studenti Medi del Veneto. Anche al Tito Livio erano pronti a portare avanti il minuto di rumore per Giulia ma sono stati fermati da una circolare firmata dal preside Luca Piccolo. “Proprio perché è necessario interiorizzare questo evento, credo che la nostra strada debba essere quella del silenzio”, ha scritto il dirigente in una circolare firmata lunedì 11 novembre.
Nel documento si invitavano poi ragazze e ragazzi ad accendere una candela sul balcone della propria camera, lasciandola consumare fino alla fine. E magari fare una foto, da inviare ad un indirizzo email creato appositamente con allegato un pensiero.
“Il femminicidio di Giulia ci ha scossi profondamente ma ci ha dato anche la possibilità di riconoscere collettivamente che quando si parla di violenza di genere i casi isolati non esistono, che i problemi sono strutturali, culturali e sociali, e che se non se ne fa carico la collettività allora il semplice ricordo espresso singolarmente resta un simbolo vuoto. Il minuto di rumore significa questo, significa che davanti a una società che ci consiglia caldamente di stare zitte, che teme le parole patriarcato e la denuncia delle violenze sistemiche noi scegliamo di fare rumore, insieme. Continuare a nascondersi dietro la retorica del rispetto della famiglia non è ammissibile se è la stessa famiglia a chiedere che il ricordo di Giulia Cecchettin passi attraverso il rumore e momento di presa di coscienza collettiva. Non ci servono, come suggerito nella circolare, candele accese, silenzio o simboli, perché il ricordo di Giulia continua e continuerà a passare attraverso la lotta, attraverso la messa in discussione del sistema patriarcale, di cui il femminicidio non è altro che un prodotto”, ha scritto in rispostaViola Carollo, della Rete degli studenti Medi del Veneto.