Uno scontro che il governo aveva previsto e aspettava, quello riesploso sui migranti trasferiti in Albania. Con Giorgia Meloni e Matteo Piantedosi che hanno già pronte le prossime mosse, nonostante le sentenze dei giudici della sezione immigrazione del tribunale di Roma che hanno rimandato alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione dei paesi sicuri che il governo pensava di aver risolto con un decreto. Come riportato dal Giornale, al momento gli hotspot di Schengjin e Gjader sono «congelati» fino a luglio. Anche se la prima sentenza (quella per Bologna) è attesa per gennaio. E prima ancora, a dicembre, arriverà quella della Cassazione.
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Secondo Meloni, come riportato da Repubblica, «meglio dipendere dalla Corte di Giustizia europea che dai giudici politicizzati italiani». Perché, è il ragionamento della premier, sull’esito della sfida influirà il pragmatismo dell’Unione Europea. Con uno stop definitivo si paralizzerebbero le politiche migratorie dei 27. Che però invece continuano a utilizzare la loro lista senza pretendere una procedura accelerata insieme a una standard, stando al ragionamento della premier. Quindi è difficile che una sentenza sull’Italia paralizzi il resto dell’Ue. Il Viminale si costituirà di fronte alla Corte e nel frattempo la Libra prepara un nuovo viaggio in programma tra una decina di giorni.
«Continuiamo fino a che non ci sarà la sentenza», è l’ordine che sarebbe arrivato dai piani alti del governo. E diramato dal sottosegretario Giovambattista Fazzolari sulle chat dei parlamentari. Ma se il decreto paesi sicuri andrà in conversione senza un pronunciamento della Corte Ue, potrebbe essere Sergio Mattarella a fermare tutto. Il presidente della Repubblica potrebbe respingere l’intero decreto chiedendo lo stralcio di quella parte. Oppure potrebbe fare come con i balneari: inviare una lettera dove mette per iscritto i rilievi e chiedere di correggere una legge in palese contrasto con il diritto europeo. Una via che però finirebbe per portare il Quirinale all’interno di una battaglia politica che si preannuncia complicata.
Secondo il governo ci sono tre ragioni per ottenere ragione. La prima è che il nuovo patto europeo sulle migrazioni, non ancora entrato in vigore, prevede le procedure accelerate e la costituzione di centri fuori dai confini nazionali. La seconda è che la sentenza della Grande Chambre sarebbe in qualche modo datata rispetto al patto politico. In ultimo, sempre secondo l’esecutivo, con il decreto legge varato appena pochi giorni fa, «abbiamo già fatto una scrematura ulteriore dei cosiddetti Paesi sicuri, quelli per i quali è consentita in Albania la procedura accelerata di massimo 28 giorni per il rimpatrio, e siamo scesi da 22 a 19 Stati».