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Liliana Segre: “A Gaza crimini di guerra contro l’umanità, ma non si può parlare di genocidio”

Pubblicato: 29/11/2024 15:42

In un articolo scritto per il Corriere della sera, Liliana Segre interviene sulla questione di Gaza e chiarisce il suo pensiero. La senatrice a vita e superstite dell’Olocausto spiega perché non si può parlare di genocidio. Secondo Segre, a Gaza non ci sono i caratteri distintivi che definiscono un genocidio. Ci sono però crimini di guerra e crimini contro l’umanità, commessi sia da Hamas che dall’esercito israeliano.
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Segre richiama esempi storici di genocidi riconosciuti, come il genocidio degli armeni, la Shoah, l’Holodomor e lo sterminio dei tutsi in Ruanda. Spiega che questi eventi avevano due elementi fondamentali: la pianificazione dell’eliminazione totale di un gruppo e l’assenza di legame con una guerra. A Gaza, invece, il conflitto è centrale, e questo lo distingue da un genocidio.

I rischi dell’uso del termine “genocidio”

Segre sottolinea un altro aspetto. L’uso del termine “genocidio” rischia di alimentare odio e antisemitismo. Molti sembrano approfittare della situazione per accusare gli ebrei di compiere quello che hanno subito. Questo produce un aumento di manifestazioni antisemite nel mondo.

L’accusa di genocidio, secondo Segre, non solo colpisce il governo israeliano, ma demonizza l’intero Stato di Israele e il suo popolo. Una visione manichea, che divide in modo netto “buoni” e “cattivi”, finisce per allontanare la pace. Segre ribadisce che solo il dialogo può portare alla convivenza tra Israele e un futuro Stato di Palestina.

Evitare le banalizzazioni

Infine, Segre invita a riflettere sull’uso delle parole. Banalizzare il termine “genocidio” rischia di aprire la strada a pericolose riletture storiche, a favore di regimi e dittature. Difendere il significato dei termini è fondamentale per proteggere la memoria storica e i valori democratici.

“Corro il rischio di passare per agente sionista”

Molto significativo il passaggio in cui la senatrice Segre si rivolge al campo progressista, che dovrebbe sostenere le sue stesse posizioni, ma si trova completamente in balìa della cancel culture. “O ti adegui e ti unisci alla campagna che tende ad imporre l’uso del termine ‘genocidio’ per descrivere l’operato di Israele nella guerra in corso nella Striscia di Gaza, o finisci subito nel mirino come ‘agente sionista’“.

“Le cose in realtà sono più complesse e colpisce che alcuni tra i più infervorati nell’uso contundente della parola malata si trovino in ambienti solitamente dediti alla cura, talora maniacale, del politicamente corretto, del linguaggio sorvegliato che si fa carico di tutte le suscettibilità fin nelle nicchie più minute”.

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