«Un po’ confuso», è così che il suo avvocato, Giovanni Caruso, lo descrive. Questa volta indossa una felpa scura, diversa da quella bordeaux che aveva portato durante le due udienze della settimana precedente. Anche il suo viso è cupo, con lo sguardo sempre rivolto verso il basso, senza mostrare alcuna reazione nemmeno quando il presidente della Corte d’assise, Stefano Manduzio, pronuncia la parola che temeva di più, quella che i suoi legali hanno cercato in ogni modo di evitare: l’ergastolo senza possibilità di libertà.
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Filippo Turetta non mostra emozioni. Appena il giudice conclude la lettura del verdetto, le guardie penitenziarie lo conducono subito via. I suoi avvocati, Caruso e la collega Monica Cornaviera, lo hanno incontrato nella stanza riservata ai detenuti: «Ho avuto una breve conversazione con lui per spiegargli il significato della sentenza – racconta Caruso – Ha capito che si tratta della pena massima, ma ha anche appreso che sono state escluse due aggravanti. Non ha reagito in modo particolare, ma appare un po’ disorientato e mi ha ringraziato».
Non si può dire che Turetta fosse sicuro di evitare l’ergastolo. L’ipotesi era concreta, vista la pesante accusa a suo carico e soprattutto a meno di un anno dall’evento che ha scosso l’Italia, facendolo diventare il simbolo del femminicidio, con Giulia che rappresenta la lotta contro la violenza sulle donne. «Filippo Turetta è consapevole che dovrà trascorrere gran parte della sua vita in carcere», aveva affermato il suo legale durante l’arringa, dopo aver descritto l’ergastolo come «inumano» in un lungo discorso introduttivo. D’altro canto, anche il pubblico ministero Andrea Petroni, dopo aver riflettuto a lungo, aveva chiesto la pena massima, evidenziando come l’ergastolo di oggi sia ben diverso da quello di decenni fa.
Il sistema penitenziario prevede infatti tre fasi progressive: dopo 10 anni (quindi nel 2033, quando Filippo, che ha già trascorso un anno a Montorio Veronese, avrà 32 anni), potrà richiedere i primi permessi premio; dopo 20 anni (nel 2043) è possibile la semilibertà, mentre dopo 26 anni si parla di liberazione condizionale, quindi nel 2049, quando avrà 48 anni. Insomma, ci sarà tempo per cercare di ricostruire la propria vita.
Questi benefici sono proprio ciò che rende l’ergastolo compatibile con la Costituzione italiana, che stabilisce che la pena deve avere uno scopo rieducativo. L’ergastolo vero e proprio, quello «ostativo», è ora previsto solo per reati gravissimi come mafia o terrorismo: quel «buttar via la chiave» a cui si riferiva Caruso durante la sua arringa, in relazione alla volontà di molti commentatori del caso Turetta-Cecchettin. Tra questi, probabilmente, anche il vicepremier e leader della Lega Matteo Salvini, che ha aggiunto: «È giusto così. Ora sarebbe opportuno obbligarlo a lavorare duramente, per evitare che il suo soggiorno in carcere ricada completamente sulle spalle degli italiani», ha sottolineato in un post sui social.
Turetta è stato trasferito nel carcere di Verona il 25 novembre di un anno fa, dopo una settimana di fuga a seguito del delitto e l’arresto avvenuto in Germania la sera del 18 novembre. Chi frequenta la struttura di Montorio racconta che trascorre il suo tempo tra musica, un corso d’inglese, palestra, televisione e libri. Come emerso dalle domande durante il suo esame del 25 ottobre e dalla descrizione dei suoi legali, era considerato un «bravo ragazzo»: sempre promosso a scuola, sportivo (giocava a pallavolo), ma piuttosto introverso, con pochi amici, fino a quando ha conosciuto Giulia, il primo amore della sua vita, come ha ammesso. Inizialmente, la notizia che potesse giocare con la Playstation aveva suscitato scalpore, tanto da spingere il garante dei detenuti di Verona, don Carlo Vinco, a spegnere le polemiche: «L’ho fornita io al carcere più di sei mesi fa, nelle due sezioni sanitaria e psichiatrica, e non avrei mai pensato a polemiche così futili», ha dichiarato.