La notte tra il 23 e il 24 novembre, un drammatico incidente in via Quaranta a Milano ha visto la morte di Ramy Elgaml, un giovane di vent’anni, e il ferimento del suo amico Fares Bouzidi. I due viaggiavano su uno scooter, inseguiti da una pattuglia dei carabinieri, quando si è verificato un impatto tra il mezzo a due ruote e l’auto delle forze dell’ordine. Un testimone ha dichiarato che il contatto potrebbe essere stato accidentale o avvenuto dopo la caduta dello scooter. Tuttavia, resta un nodo delicato da chiarire: lo stesso testimone ha affermato di aver girato un video che sarebbe stato cancellato su richiesta dei carabinieri, un’accusa che necessita ulteriori verifiche.
Un caso che solleva domande
L’incidente ha acceso un acceso dibattito, non solo sulle dinamiche dell’inseguimento ma anche sulla condizione sociale dei giovani di origine straniera in Italia. Ramy, figlio di una famiglia egiziana, era un ragazzo ben integrato, descritto da amici e colleghi come un lavoratore diligente e un esempio di adattamento. L’imam Mahmoud Asfa, durante il funerale del giovane, ha posto l’accento su un tema centrale: la cittadinanza per i ragazzi nati e cresciuti in Italia, ma legalmente ancora considerati stranieri fino alla maggiore età.
Una legge che divide
Secondo l’imam, l’attuale normativa italiana sulla cittadinanza crea un senso di alienazione nei giovani che, pur essendo parte della comunità, non si sentono riconosciuti come membri a pieno titolo della società. «Sono italiani, ma la legge non li riconosce subito come tali. Questo li fa sentire esclusi e ostacola il loro senso di appartenenza», ha spiegato durante la cerimonia funebre, a cui hanno partecipato oltre 200 persone. È un appello a rivedere le regole, per permettere ai giovani di contribuire al Paese senza dover attendere anni per vedere riconosciuto un diritto fondamentale.
Il dolore di una comunità e la fiducia nella giustizia
Al cimitero di Bruzzano, nella sezione riservata ai musulmani, il feretro di Ramy è stato salutato con gesti di rispetto e preghiere. Amici e conoscenti lo hanno ricordato come un ragazzo generoso, benvoluto, e sempre pronto a imparare. La sua morte ha lasciato un vuoto nella comunità e alimentato la richiesta di verità e giustizia. La famiglia del ragazzo incontrerà a breve sia il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, sia il sindaco di Milano, Giuseppe Sala.
Un disagio sociale che non può essere ignorato
L’incidente ha riportato alla luce il disagio delle periferie, dove molti giovani si sentono emarginati e privi di opportunità. Le dichiarazioni di alcuni esponenti politici, come Fontana, hanno sollevato il rischio di una degenerazione verso situazioni simili a quelle delle banlieue francesi. Ma dalle periferie arriva anche un appello accorato: essere ascoltati come persone, senza etichette o stereotipi. Un ragazzo presente al funerale ha dichiarato: «Non siamo nordafricani o immigrati, siamo giovani, esseri umani. Meritiamo rispetto e opportunità».
La necessità di un dialogo
Questo tragico episodio non è solo un caso di cronaca, ma anche uno specchio di problemi più ampi: il rapporto tra forze dell’ordine e cittadini, le sfide dell’integrazione e il riconoscimento dei diritti fondamentali. Serve un dialogo costruttivo, che tenga conto delle istanze delle periferie e delle comunità, per costruire una società più inclusiva e coesa. La giustizia per Ramy e per la sua famiglia passa anche da qui: dalla capacità di dare risposte concrete a una generazione che vuole sentirsi parte del futuro dell’Italia.