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“Botte e insulti, poi ho scelto la libertà”. La star italiana racconta il suo incubo e come è riuscita a uscirne

Pubblicato: 21/12/2024 08:56

«È una maledizione che ti imprigiona, e sembra che non ci sia modo di sfuggire ai colpi, agli insulti, ai lividi che ti costringono a nascondere il tuo dolore. Ma una via d’uscita esiste. Lo so perché l’ho vissuta anche io».

Sara Battaglia, giovane stilista di successo nel difficile universo della moda, ha fatto strada dall’inizio della sua carriera con il premio Altagamma fino a collaborazioni con marchi prestigiosi come Ferragamo. Cresciuta in una famiglia di artisti — con una madre scultrice, un padre pittore, due fratelli galleristi e un’altra sorella, Giovanna, direttrice creativa — ha partecipato a eventi di rilevanza internazionale, dalle sfilate milanesi di febbraio all’Art Basel di Miami. Recentemente ha lanciato un progetto contro la violenza di genere: una camicia bianca «Red Collar» con un colletto rosso, creata in un laboratorio che impiega donne che hanno subito maltrattamenti. «L’obiettivo era quello di sensibilizzare il settore della moda sulla problematica della violenza di genere», spiega.
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«La parte più insidiosa di questa situazione? Le violenze psicologiche, il sentirsi inadeguata. Quando ho incontrato la dottoressa Alessandra Kustermann del Policlinico di Milano, una persona meravigliosa che mi ha dato un grande aiuto, insieme agli avvocati che lavorano con lei gratuitamente, mi ha ascoltata e mi ha semplicemente detto “non va bene”. Ho capito che il meccanismo in cui ero intrappolata era sempre lo stesso, con qualche variazione. La relazione inizia, poi l’autostima comincia a erodersi e arrivano gli insulti, sempre più brutali, pensati per demolire le tue certezze. E da quel momento, le violenze fisiche diventano solo una questione di tempo. Perché le donne non dicono subito basta? Perché si tratta di un incantesimo malefico: ti convincono che te lo meriti, e che, anzi, le botte che hai preso sono poche (come mi è stato detto). Nel mio caso, ho vissuto sei mesi di relazione apparentemente normale, seguiti da quattro anni e mezzo di incubo». Sara Battaglia racconta la sua esperienza di violenza con l’ex compagno. «Insulti e percosse, ma alla fine ho scelto la libertà».

Qual è la chiave per riaprire la porta verso una vita serena? «La consapevolezza. Quella è cruciale. Riconoscere ciò che è realmente accaduto, riuscire a vedere la situazione con gli occhi di chi osserva da fuori, piuttosto che da dentro. Alcune donne denunciano — io l’ho fatto — altre no. Ognuna deve seguire il proprio percorso in libertà. Denunciare non è mai facile, in ogni caso».

Il percorso legale di Battaglia riprenderà a gennaio: il 17 dicembre, il gup ha respinto la richiesta di patteggiamento da parte degli avvocati del suo ex (un anno e dieci mesi con pena sospesa, 10 mila euro di risarcimento rateizzato e l’impegno a seguire un percorso terapeutico), ritenendo insufficiente la pena rispetto alla gravità dei fatti e al comportamento dell’imputato. «Il mio cammino in tribunale continua, ma oggi è ancora più importante per me trasmettere il messaggio che non possiamo aspettare che una donna perda la vita per agire, né che siano madri o sorelle a parlare per le vittime. Io sono sopravvissuta: più se ne parla, più questo tabù viene infranto, e le donne si sentiranno meno spaventate nel denunciare o nel fuggire da relazioni violente».

La rinascita di Battaglia avviene un passo alla volta: «Ci sono alti e bassi, momenti di grande felicità e altri di tristezza. Il disegno è stato il mio rifugio, la mia stanza immaginaria dove, almeno lì, ero libera. Piano piano, sto riacquistando la mia vita, un po’ alla volta. Prima andavo a dormire sperando di non svegliarmi. Non ho mai sognato. Per anni non ho avuto alcun sogno, proprio niente. Ora posso ricominciare a sognare».

Chi le ha offerto supporto, oltre alla famiglia? «Diane von Furstenberg, una stilista leggendaria e una persona straordinaria». Il progetto Red Collar ha visto a Milano e poi a Miami giovani donne indossare la stessa camicia — bianca con il colletto rosso — disposte a formare una W, simboleggiando la vittoria, con espressioni serie, dolorose, ma orgogliose. Senza scritte, senza loghi. Solo quel rosso carminio su un cotone immacolato. «Le camicie sono state realizzate da Dritto Filo, un centro di riabilitazione per donne che hanno subito violenza. Dritto Filo dimostra che per le donne in questa situazione c’è la sensazione di non avere via d’uscita dal tunnel degli abusi, ma ci sono persone che offrono lavoro e supporto. Esiste una via d’uscita. Esiste la possibilità di rinascere».

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