Qualche mese fa, presso il cimitero monumentale Verano, è emersa una pista intrigante: tre oggetti, identificati come codici (un barattolo di vernice verde, una chiave d’auto e una moneta da 500 lire), erano stati celati dietro una celebre statua, l’Angelo del dolore, realizzata dallo scultore dell’Ottocento Giulio Monteverde. Il richiamo al mistero di Emanuela Orlandi, scomparsa nel giugno del 1983, si era fatto evidente, soprattutto considerando il furto della bara di Katy Skerl, la giovane assassinata nel gennaio 1984, avvenuto nello stesso cimitero.
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Tuttavia, recenti sviluppi hanno portato alla luce ulteriori elementi. Non erano sufficienti i riferimenti enigmatici di prima. Oggi, la sinistra sciarada che ha avuto inizio oltre quarant’anni fa, all’epoca della Guerra Fredda e di conflitti mai sopiti, si arricchisce di un nuovo indizio preoccupante: a pochi passi dalla statua dell’Angelo con la fascetta, è stata scoperta una scritta, sbiadita dal tempo, risalente ad almeno un anno fa. Sulla stele di pietra che designa il Riquadro 19, dedicato alle famiglie Donati e Pace, qualcuno ha scritto, con la stessa vernice verde, una parola e tre numeri: «Zoff» sulla prima riga, e «15-1-91» sulle seguenti. Sul retro, una consonante in maiuscolo: «R». Cosa potrebbe significare tutto questo? È solo uno scherzo da ignorare, oppure, considerando gli eventi incredibili e concreti legati alla saga Orlandi, questa novità merita attenzione e approfondimento?
Proviamo a decifrare il messaggio con l’aiuto di una docente universitaria specializzata in arte e simbologie funerarie, che da tempo sta raccogliendo informazioni su “incursioni” legate al caso Orlandi nel cimitero romano. Il riferimento a «Zoff», noto come portiere della Juventus e della Nazionale italiana, potrebbe suggerire la figura di un custode, colui che veglia su una tomba che potrebbe essere stata profanata e usata come nascondiglio. Questa è solo una possibilità, ma non può essere trascurata finché non si avrà la certezza che nel Pincetto non ci sia un burlone. Un’altra interpretazione è che il misterioso autore di «Zoff» stia evocando una figura di custode, simile a quella di Pietro Vanacore, coinvolto nel giallo di via Poma e nella rete di eventi legati a Orlandi.
La data del 15 gennaio 1991, invece, è facilmente interpretabile e rappresenta un riscontro concreto: proprio quel giorno, oltre trent’anni fa, il governo italiano approvò il decreto-legge 8/1991, che introduceva «nuove misure in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione di chi collabora con la giustizia».
Pertanto, c’è da riflettere: sembra quasi una firma. Potrebbe essere un segnale del «grafomane» del Verano, che si è pentito con un notevole ritardo per la sua precedente partecipazione al sequestro di Orlandi o ad altri casi simili? Sta cercando di comunicare qualcosa, o, sopraffatto dal rimorso, sta tentando di redimersi fornendo indicazioni criptiche agli inquirenti? La situazione si complica. È probabile che si tratti di un’azione pianificata: i resti della vernice trovata nel barattolo recuperato dietro l’Angelo del dolore sono della stessa tonalità di verde riscontrata sulla stele con la scritta «Zoff» e la data. Quindi, l’autore di questa manovra al Pincetto ha voluto stabilire una connessione tra Emanuela (l’angelo con la fascetta) e il Riquadro 19, ora sorvegliato da un «custode-portiere».
Ma cosa vuole comunicare?
Qui si insinua il dubbio e la preoccupazione cresce. Forse il misterioso «scribano» sta avvisando chi di dovere (magistrati, commissione parlamentare, opinione pubblica) che, nei paraggi, si trovano occultati i resti di Emanuela Orlandi (l’Angelo del dolore) o di Katy Skerl? Se quest’ultima ipotesi si rivelasse vera, significherebbe che la bara e il corpo della 17enne assassinata a Grottaferrata nel 1984 non sono mai stati allontanati dal Verano, come suggerito dal pm Erminio Amelio, ma solo spostati in un’altra area del cimitero, a circa 800 metri dal Riquadro 115. È uno scenario plausibile? La cautela è necessaria. Quando le indagini si avventurano nel campo dell’esoterico, l’unico vero orientamento sono i riscontri. Esistono? Vediamo.
Ci sono tre elementi da esaminare, emersi dopo un sopralluogo del cronista, seguendo le indicazioni della professoressa e di un suo collaboratore. Il primo indizio riguarda una manomissione: a destra del sepolcro della famiglia Donati – Pace, una lastra risulta dislocata. È stata danneggiata dagli agenti atmosferici o è un modo per attirare l’attenzione e dire «controllate dentro la fossa»? Il secondo elemento è l’assenza: non c’è la foto della quarta defunta sulla lapide (tutti deceduti oltre un secolo fa), quella della signora «Rosa». La cornice è caduta o è stata rubata? Chi può dirlo.
Infine, arriviamo al terzo indizio, «il più enigmatico e inquietante», come sottolinea la studiosa, per la sua valenza simbolica: come interpretare il cognome Donati Pace? Se accentuiamo la prima «o», otteniamo «Dònati pace», ovvero, concediti riposo. È questo il messaggio che voleva trasmettere il misterioso profanatore? È possibile che il nome, con il suo significato polisemico, sia stato scelto deliberatamente tra le migliaia presenti nel cimitero monumentale di Roma per inviare un messaggio cifrato? Rimane un mistero, almeno per ora. Potrebbe essere solo una suggestione, ma il pensiero corre a lei, la ragazza con la fascetta, scomparsa per sempre dopo la lezione di flauto, diventata simbolo di verità e giustizia mancante, che da 41 anni è in cerca di pace.