Tre anni fa, il 5 gennaio, il corpo senza vita di Liliana Resinovich fu ritrovato nel boschetto dell’ex ospedale psichiatrico di Trieste, a breve distanza dalla sua abitazione. La donna, 63 anni, era scomparsa il 14 dicembre 2021 dopo essere stata ripresa dalle telecamere di sorveglianza della zona. Da quel giorno, il mistero sulla sua morte rimane irrisolto.
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La famiglia di Liliana non ha mai creduto all’ipotesi del suicidio, sia per il profilo della donna, descritta come forte e vitale, sia per le circostanze inquietanti del ritrovamento: il corpo era avvolto in due sacchi neri e la testa coperta da sacchetti per alimenti. La speranza ora è riposta nei risultati della seconda autopsia, affidata all’antropologa Cristina Cattaneo, i medici legali Stefano Tambuzzi e Biagio Eugenio Leone, e l’entomologo Stefano Vanin. Dopo una proroga di 30 giorni, la relazione è attesa entro il 14 gennaio.
Secondo anticipazioni, sarebbero stati riscontrati segni e lesioni compatibili con l’intervento di terze persone, ipotesi che contrasta ulteriormente con quella del suicidio. Gabriella Micheli, amica di Liliana, ha avanzato un’ipotesi drammatica: “È stata uccisa da un gruppo di persone, tra cui qualcuno con competenze mediche”.
Gli amici e i familiari di Liliana continuano a chiedere con forza la verità: “Vogliamo chiarezza e che le indagini svelino cosa le è accaduto”, ribadiscono, nella speranza che finalmente si possa fare luce su questa tragica vicenda.