
“È un anno e due mesi che aspetto questo momento”. Maysoon Majidi non riesce a trattenere l’emozione mentre parla. Il sorriso si intuisce persino tra le parole, interrotte dagli abbracci di chi la sostiene. Attorno a lei, un brusio di persone che riempiono l’aula per assistere a un momento atteso a lungo: l’assoluzione da tutte le accuse. L’attivista curdo-iraniana, arrestata il 31 dicembre 2023 dopo uno sbarco in Calabria e accusata ingiustamente di essere una scafista, è stata finalmente dichiarata innocente.
Sin dall’inizio Maysoon ha respinto ogni accusa, raccontando la sua verità attraverso disegni, quando ancora non conosceva l’italiano e non aveva un mediatore o un avvocato per difendersi. Solo dopo mesi di isolamento e incertezza, la sua battaglia legale ha preso forma. Grazie al suo avvocato Giancarlo Liberati, sono stati rintracciati testimoni fondamentali, che la procura non era riuscita a convocare. Uno dopo l’altro, i supertestimoni hanno smentito le accuse, facendo crollare l’impianto accusatorio.
“La matita mi ha aiutato a resistere”, racconta Maysoon, che ha passato dieci mesi in carcere, accusata di essere una scafista. Alla fine, il tribunale ha deciso di scarcerarla ancor prima della fine del processo. Da allora, ha iniziato a ricostruire la propria vita, prima a casa del suo legale e poi in una comunità calabrese, insieme al fratello, cercando di riprendersi anche fisicamente dopo aver perso 16 chili durante la detenzione.
“La libertà per me è tutto, non sono una scafista. In Iran rischiavo la vita”, dichiara Maysoon.
Nonostante ciò, la pm Multari aveva insistito nella requisitoria: “Faceva la hostess a bordo”, chiedendo per lei una condanna a 2 anni e 4 mesi. La sua tesi era chiara: chiunque svolga un ruolo su una nave che trasporta migranti deve essere considerato colpevole di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Ma i giudici non hanno accolto questa teoria, restituendo finalmente la libertà a Maysoon.