
Un uomo di trent’anni è finito a processo con l’accusa di maltrattamenti, lesioni e procurato aborto dopo aver sottoposto la compagna a continue aggressioni fisiche e psicologiche. La donna, oltre a essere controllata e isolata dalla famiglia, veniva umiliata e picchiata quotidianamente. Le violenze sono proseguite anche durante la gravidanza, fino a provocarle la perdita del bambino. Il pubblico ministero ha chiesto per lui una condanna a quattro anni di reclusione.
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Botte e umiliazioni per mesi
Gli abusi sarebbero iniziati nell’estate del 2023 e sono andati avanti fino a febbraio 2024. La donna era costretta a vestirsi con abiti coprenti per non “attirare l’attenzione degli uomini” e le era stato vietato di parlare con la madre: per impedirglielo, il compagno le aveva distrutto il telefono. In pubblico veniva offesa e umiliata, come quando lui le alzò la gonna per controllare se indossasse la biancheria intima, insultandola.
Poi il sospetto sulla paternità del figlio: “Sei sicura che è mio?”, le ha detto mentre era incinta di tre mesi, prima di aggredirla con calci, pugni e morsi. Le percosse erano frequenti anche alla nona settimana di gravidanza. Secondo il racconto della vittima, lui le avrebbe tappato la bocca per impedirle di urlare e l’avrebbe presa a pugni sul ventre, fino a provocarle un aborto.
La denuncia e il processo
Nonostante il trauma, la donna è rimasta nuovamente incinta. Ma le violenze non si sono fermate: dopo l’ennesimo pestaggio, ha trovato il coraggio di denunciarlo. Le sue ferite sono state refertate con una prognosi di 30 giorni. Ora, assistita dall’avvocata Flavia Colavita della cooperativa Be Free, attende giustizia. Il processo è in corso e l’accusa ha richiesto una pena di quattro anni di carcere per il compagno violento.