
Il virologo Giorgio Palù durante la pandemia ha ricoperto diversi ruoli, tra cui quelli di presidente dell’Aifa e di membro del secondo Comitato tecnico scientifico (Cts). Intervistato da Il Giornale, Palù si lascia andare a diverse rivelazioni interessanti, come quelle sul vaccino Astrazeneca o sulla vaccinazione dei minori di 12 anni.
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“Ho fatto vaccinare subito i miei nipotini”
“Ho fatto vaccinare subito i miei tre nipotini. – ammette Palù – Oltre a sedere ai tavoli in cui si stabiliva la linea anti Covid, ho sempre pensato a proteggere la mia famiglia. Ovviamente abbiamo deciso in base alle evidenze scientifiche che allora parlavano dei rischi della sindrome infiammatoria acuta multiorgano dei bambini, legata all’infezione. Ma anche in quel caso con un gravame particolare. Senza mai perdere di vista l’impatto delle misure drastiche che stabilivamo. Soppesavamo tutto, i report non ancora sottoposti a revisioni da parte di pari e le pubblicazioni scientifiche che risultavano già vecchie non appena pubblicate, consapevoli di creare disagi, specie in una popolazione ancora immatura dal punto di vita fisico e psichico. Il virus correva più veloce di noi, tutto era in evoluzione molto rapidamente”.
I dubbi di Palù su Astrazeneca
“Essendo l’unico virologo presente al tavolo del Cts conoscevo bene l’adenovirus, vettore su cui si basava il vaccino Astrazeneca e ho fatto presente la possibilità che le proteine dell’involucro virale potessero generare una risposta infiammatoria e pro-coagulativa. – il virologo esprime dubbi sul vaccino britannico – Era noto che Astrazeneca era meno efficace dei vaccini a mRNA e dalla Germania arrivavano studi sui rischi per le giovani donne. Prevalse allora l’opinione del maggior beneficio di accelerare la copertura in ambito di popolazione”.

“Ho provato ansia, ma eravamo obbligati a prendere decisioni gravose per il Paese: la priorità era contenere il virus. – ammette poi Palù – Avvertivo lo sconforto, la sofferenza psicologica e l’impotenza della gente per il senso di solitudine e isolamento creati dalle quarantene, dal distanziamento sociale, dalle misure per prevenire il contagio. Condizioni che facevano sì che esseri umani fossero impossibilitati a comunicare tra loro, abbracciare i propri cari, assistere un congiunto morente”.
“Sicuramente non ha funzionato l’infodemia creata dai mezzi di comunicazione con spettacolarizzazione mediatica della pandemia, una narrazione allarmistica quasi ad evocare il rischio di una pandemia perpetua, che ha creato disorientamento, paura. Un bollettino a settimana forse sarebbe stato sufficiente. Addirittura due al giorno, inizialmente, hanno contribuito ad alimentare l’incertezza collettiva. La mancanza di comunicazione ha creato tanta disinformazione, lasciando spazio a un’ondata di negazionismo in cui hanno prevalso istinti, pregiudizi e illusioni illogiche. Purtroppo tutto questo ha portato a maturare una profonda sfiducia nella scienza e nelle istituzioni”, conclude Palù.