
Giorgia Meloni si trova stretta tra due fuochi. Da una parte l’Europa, compatta nel sostegno all’Ucraina e sempre più allarmata dalle mosse di Donald Trump. Dall’altra, gli Stati Uniti, dove il nuovo presidente ha già stravolto la linea occidentale sul conflitto, riducendo il sostegno a Kiev e aprendo scenari inediti per l’assetto globale. La premier italiana, che sin dall’inizio si è schierata con Zelensky, ora si ritrova nella scomoda posizione di dover bilanciare due visioni opposte senza compromettere la sua leadership internazionale.
Trump ha cambiato le regole del gioco. La sua ambiguità sulla Russia, le dichiarazioni sprezzanti su Zelensky e la sua volontà di rivedere gli aiuti militari hanno messo in allarme l’Europa. Francia e Germania spingono per un rafforzamento dell’impegno europeo a sostegno dell’Ucraina, mentre la NATO si interroga su come colmare il vuoto lasciato dagli Stati Uniti. Meloni, che in passato ha cercato di accreditarsi come interlocutrice privilegiata dei conservatori americani, ora deve muoversi con estrema cautela.
Nel frattempo, un’altra polemica rischia di compromettere la sua strategia. Alla Conservative Political Action Conference (CPAC), il grande raduno della destra americana, l’ex stratega di Trump, Steve Bannon, ha inscenato un gesto che ha scatenato furiose reazioni in Europa: con il braccio teso e il pugno chiuso, ha imitato un saluto nazista, esclamando “Victory or death!”. Un gesto che ha messo in difficoltà diversi esponenti della destra europea presenti all’evento.
Il leader del Rassemblement National, Jordan Bardella, ha scelto di non partecipare alla conferenza, prendendo le distanze da un contesto che sta diventando sempre più radicale. Meloni, invece, ha deciso di parlare comunque, confermando il suo intervento per questa sera. Una scelta che riflette la sua strategia: non rinunciare ai rapporti con il conservatorismo americano, nonostante le tensioni sempre più evidenti tra Washington e l’Europa.
La sua assenza alla recente chiamata del G7 sull’Ucraina è stata letta come un segnale chiaro: meglio non esporsi troppo, meglio non urtare la sensibilità di Trump, che ha già dimostrato di non tollerare alleati troppo critici. Un atteggiamento che contrasta con il protagonismo francese e tedesco, ma che riflette una strategia precisa: mantenere aperti tutti i canali e aspettare di capire fino a che punto Washington intenda spingersi nel ridimensionare l’impegno in Europa.
Meloni sa che l’Italia non può permettersi di perdere la sponda americana, ma sa anche che un cedimento sulla linea ucraina potrebbe metterla in rotta di collisione con Bruxelles. In questa fase, il suo equilibrio è fatto di dichiarazioni misurate e mosse calibrate. Partecipa ai vertici europei, ma prende le distanze dai toni più accesi contro Trump. Sostiene Kiev, ma evita qualsiasi retorica che possa apparire come un attacco diretto alla destra americana.
Questo gioco di equilibri, però, non potrà durare a lungo. Se Trump dovesse decidere di ridurre drasticamente il coinvolgimento degli Stati Uniti nella NATO o di spingere per una soluzione negoziata con Mosca alle condizioni di Putin, l’Europa dovrà reagire compatta. E a quel punto, Meloni dovrà scegliere da che parte stare, senza più possibilità di mediazioni.
Nel frattempo, il caso Bannon complica ulteriormente la sua posizione. Restare ancorata all’alleanza con i repubblicani americani significa accettare il rischio di una radicalizzazione sempre più evidente, che potrebbe isolare l’Italia in Europa. Ma abbandonare Trump e il mondo conservatore americano significherebbe perdere un punto di riferimento fondamentale per la sua leadership internazionale.
Per ora, la sua strategia è chiara: guadagnare tempo, tenere i piedi in due staffe e aspettare. Ma il tempo, quando si parla di guerre e alleanze globali, è un lusso che difficilmente può permettersi.