
Se qualche giorno fa le veniva chiesto quale fosse la soluzione ideale in caso di cessate il fuoco e di un accordo di pace tra Russia e Ucraina, Giorgia Meloni rispondeva senza esitazioni: «L’opzione migliore sarebbe estendere la rete di sicurezza della NATO a Kiev, anche senza un ingresso formale nell’Alleanza». Si tratterebbe di una soluzione complessa dal punto di vista tecnico, ma che riflette l’obiettivo principale del governo italiano e della sua diplomazia: garantire una protezione che preveda l’uso delle capacità tecnologiche, dei missili e del rapido dispiegamento di mezzi da parte degli Stati Uniti, integrati nell’ossatura del comando europeo della NATO.
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Tuttavia, non è detto che una proposta del genere trovi favore tra gli Stati Uniti, né che si concretizzi, quindi il governo italiano potrebbe trovarsi a dover fronteggiare uno scenario meno auspicato dalla presidente del Consiglio: quello che in ambito anglosassone viene definito come boots on the ground, ossia il coinvolgimento diretto di truppe sul terreno, con il rischio di perdere vite umane tra i soldati italiani e il rischio di entrare in conflitto con una parte della sua stessa maggioranza, a cominciare da Matteo Salvini, fermamente contrario a qualsiasi intervento militare. Per questo motivo, a Palazzo Chigi è prevalsa una linea che sembra ricordare quella del Piave: «Saremo coinvolti solo se tutto avverrà sotto l’egida dell’Onu».
Questa parola chiave sembra essere l’unica su cui si trova un consenso ampio all’interno del governo italiano, nonostante l’Onu sia stata negli ultimi anni fortemente screditata e oggi, paradossalmente, ritorni al centro della scena proprio con il ritorno della figura di Trump, seppur in un contesto multilaterale. L’idea di fare affidamento sull’Onu implica l’estensione di un intervento con il consenso della Russia, con l’aggiunta di un possibile contributo della Cina, che rappresenterebbe una garanzia geopolitica di grande valore, come sottolineato dalla stessa Meloni.

Per queste ragioni, ieri il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha criticato aspramente Francia e Gran Bretagna, accusandole di procedere autonomamente con iniziative delicate e complesse, come quella in programma domenica a Londra. In risposta, Meloni ha fatto pressione su Emmanuel Macron durante un incontro con altri leader, sollevando dubbi sul suo viaggio a Washington: «Vorrei sapere con quale mandato sei andato», ha detto. Macron ha risposto che rappresentava solo la Francia, ma la tensione per iniziative unilaterali, senza una discussione preliminare con gli altri Stati dell’Unione Europea, era evidente.
In questo momento si sta creando un solco politico profondo tra l’Eliseo e Downing Street da una parte, e Palazzo Chigi dall’altra. Due potenze nucleari, con diritto di veto all’Onu, hanno scelto di accelerare, e l’Italia teme che domenica il premier britannico Keir Starmer possa annunciare nuove iniziative, alimentando ulteriori divisioni tra gli Stati, mentre sarebbe più opportuno ampliare il campo delle garanzie a un livello multilaterale più ampio.
Ci sono quindi due approcci distinti, sia sul piano del metodo che su quello politico. In questa dinamica, a sostenere la posizione di Meloni ci sono la Germania e la Polonia, entrambe scettiche riguardo il progetto di Parigi e Londra. Gli stessi dubbi sono stati espressi ieri dal ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, al generale americano Cavoli, comandante della NATO in Europa e capo delle truppe statunitensi stazionate nell’Unione Europea.