
È morto a 71 anni a Montevideo Álvaro Mangino Schmid, uno dei sedici sopravvissuti al disastro aereo delle Ande del 13 ottobre 1972. Le complicazioni di una polmonite hanno posto fine alla vita di uno degli ultimi testimoni di una delle più sconvolgenti vicende di sopravvivenza estrema mai raccontate.
Il volo 571 delle Forze Aeree dell’Uruguay, con a bordo 45 passeggeri, partì quel giorno con destinazione Santiago del Cile. Tra di loro c’era anche Mangino, allora diciannovenne, convinto a salire a bordo da Marcelo Pérez, capitano della squadra di rugby degli Old Christians. La rotta si trasformò in tragedia: a causa di un errore di navigazione, l’aereo si schiantò contro la Cordigliera delle Ande, dando inizio a 72 giorni di lotta per la sopravvivenza in condizioni disumane.
Inizialmente sopravvissero in 33, ma il gelo, le valanghe, le ferite e la fame ridussero presto il gruppo. Mangino riportò la frattura di tibia e perone, ma nonostante il dolore e l’immobilità, trovò la forza di resistere. La morte di Pérez, travolto da una slavina, lasciò il gruppo orfano della sua guida, ma Mangino si assunse un compito fondamentale: sciogliere la neve per procurare acqua potabile ai superstiti.
La società della neve
Il loro dramma, segnato dalla scelta estrema dell’antropofagia, è stato raccontato in film come Alive e, più recentemente, in La società della neve, tratto dall’omonimo libro-testimonianza. In quelle opere, il nome di Mangino emerge come simbolo di resilienza e solidarietà.
Oggi il suo volto si spegne, ma resta vivo il ricordo di chi, in un inferno bianco a 4000 metri d’altitudine, ha saputo tenere accesa la speranza. Anche solo con un piccolo gesto: sciogliere neve per dare da bere agli altri.