
Un esposto per chiedere la riapertura delle indagini sull’attentato a Giovanni Paolo II, avvenuto il 13 maggio 1981, è stato presentato alla Procura di Roma da Ezio Gavazzeni, autore del libro Il papa deve morire. Nel suo lavoro, Gavazzeni esplora una nuova pista che potrebbe portare a una rivelazione sorprendente: il coinvolgimento del terrorismo armeno, in particolare dell’ASALA (Esercito Segreto per la Liberazione dell’Armenia), come matrice del tentato omicidio di Karol Wojtyla.
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Un’indagine basata su documenti inediti
Il libro di Gavazzeni si fonda su oltre 480 documenti riservati dei servizi segreti (Sisde e Sismi), delle Questure e del Ministero dell’Interno, della Presidenza del Consiglio dei Ministri e di altre fonti. Secondo l’autore, questi materiali rivelano come agli inquirenti dell’epoca siano stati omessi elementi chiave, che avrebbero potuto gettare luce sull’attentato al Papa. In particolare, Gavazzeni critica l’operato del giudice istruttore Ilario Martella, accusato di non aver preso in considerazione tali prove durante le indagini.
Le minacce del terrorismo armeno
Nel libro, l’autore sostiene che per sei anni (dal 1977 al 1983) Giovanni Paolo II fu oggetto di minacce di morte da parte dei terroristi armeni dell’Asala, che avevano rivendicato diverse azioni violente a Roma, alcune delle quali colpivano direttamente il Vaticano. Le motivazioni del gruppo, secondo Gavazzeni, erano legate alla politica internazionale del Papa, che collaborava con il Dipartimento di Stato USA e il governo italiano per aiutare l’emigrazione di intellettuali e scienziati dalla Repubblica Sovietica d’Armenia.
L’accordo con i terroristi
Un aspetto che l’autore definisce particolarmente inquietante riguarda una trattativa tra lo Stato italiano e l’ASALA, avvenuta a Beirut tra il 1980 e il 1983, ossia nei periodi precedenti e successivi all’attentato. Secondo Gavazzeni, l’accordo fu mediato dai palestinesi dell’OLP di Yasser Arafat e firmato dall’allora ministro dell’Interno Oscar Luigi Scalfaro il 19 agosto 1983. Questo documento, rinvenuto recentemente, aggiungerebbe nuovi elementi alla vicenda.
La fine della “pista bulgara”?
L’autore ritiene che una nuova indagine potrebbe finalmente chiudere il capitolo di una vicenda che ha visto il susseguirsi di quattro processi legati alla cosiddetta “pista bulgara”. Questi procedimenti hanno sempre portato a esiti di assoluzione per insufficienza di prove, lasciando come unico colpevole l’attentatore solitario, Mehmet Ali Agca, che Gavazzeni definisce «un po’ grigio». Un’eventuale riapertura delle indagini potrebbe offrire finalmente una risposta definitiva.
Coincidenze con il caso Orlandi
Ezio Gavazzeni sarà ascoltato dalla Commissione parlamentare sulle sparizioni di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, due casi che si sono verificati nello stesso periodo delle vicende trattate nel libro. La connessione tra questi eventi solleva nuovi interrogativi e apre a possibilità di approfondimento su legami ancora sconosciuti.