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“Lui non può aver agito da solo”, Ilaria Sula, il padre: “L’aspettavamo a casa…”

Pubblicato: 04/04/2025 21:02

“Voglio sapere cosa è successo. Voglio giustizia”. Sono le parole pronunciate con voce spezzata da Flamur Sula, padre di Ilaria, la ragazza di 22 anni uccisa a Roma dall’ex fidanzato Mark Samson, il cui corpo è stato ritrovato chiuso in una valigia abbandonata in una discarica. Seduto davanti all’avvocato Giuseppe Sforza, l’uomo fatica a trovare le parole. Lo sguardo è spento, i pensieri confusi. “Prima c’era solo un abisso di disperazione”, confessa. Ora, però, vuole capire. E cerca verità.

Il dolore di una famiglia distrutta

Ilaria era tornata a Roma per studiare, così aveva detto nell’ultima telefonata. Doveva rientrare per il fine settimana, “senza portarsi i libri perché aveva voglia di stare con noi”, ha raccontato il padre. Ma quel venerdì non è salita sul treno. E da due giorni, i messaggi arrivavano strani, impersonali. Nessun vezzeggiativo, nessuna battuta, nessuna delle espressioni familiari. Non era lei.

A rispondere dal cellulare di Ilaria era già il suo assassino, secondo quanto emerso dalle indagini. Aveva preso il controllo del telefono per tentare di depistare, ma la famiglia ha capito subito che c’era qualcosa di sbagliato. “Purtroppo non ci sbagliavamo”, ha detto il padre. Sabato mattina sono partiti subito per Roma, dove hanno sporto denuncia. E Mark Samson, che era con loro in quel momento, si trovava già dall’altra parte: aveva già ucciso Ilaria.

“Non poteva essere solo”

Oggi Flamur Sula ha un unico obiettivo: “Voglio sapere, voglio capire”. Non si capacita che quel ragazzo, che aveva accolto in casa, potesse essere capace di un gesto simile. “Non credo abbia fatto tutto da solo”, ha dichiarato. A nome della famiglia, l’avvocato Sforza chiarisce: “L’indagine non deve essere rapida, ma completa. Bisogna far luce su tutti gli aspetti ancora oscuri”.

Una comunità stretta nel lutto

Intanto, davanti alla casa di Ilaria, a Terni, si susseguono visite e silenzi. Amici, parenti, conoscenti si fermano davanti al cancello, stringono i familiari, proteggono la madre distrutta dal dolore, tanto da richiedere due volte l’intervento dei medici. C’è chi prega, chi fuma in silenzio, chi semplicemente resta lì, come a voler tenere viva la presenza di una giovane vita spezzata. Un cartello appeso al cancello, firmato “un padre”, sintetizza un dolore collettivo che ormai è rabbia: “Vogliamo avere la certezza, non la speranza, che le nostre figlie tornino a casa”.

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