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Lega, pressing su Meloni per il ritorno di Salvini al Viminale. Ma gli alleati frenano: “Il governo va bene così”

Pubblicato: 07/04/2025 07:43

Dal congresso fiorentino della Lega parte un messaggio politico chiaro, diretto a Palazzo Chigi: Matteo Salvini deve tornare al Viminale. La richiesta, formalizzata dai massimi vertici del partito, dai vicesegretari e dai capigruppo, è diventata ufficiale e rappresenta una delle priorità strategiche per la Lega che guarda alle prossime sfide elettorali con l’ambizione di recuperare centralità.

Il nodo, però, è tutt’altro che semplice da sciogliere. L’attuale ministro dell’Interno Matteo Piantedosi è considerato una figura di equilibrio istituzionale, apprezzata tanto nel governo quanto in ambito tecnico. Malgrado le voci che lo vorrebbero candidato alle prossime regionali in Campania, lo stesso Piantedosi ha smentito ogni disponibilità: “Mi sento più utile alla Campania restando al Viminale”, ha dichiarato, escludendo ipotesi di staffette politiche.

La strategia di Salvini: dal congresso alla riconquista del Viminale

Il leader della Lega punta sul suo passato da ministro degli Interni, considerato l’apice del suo consenso: 34% alle Europee del 2019, quando la Lega guidava con decisione l’asse del governo gialloverde. Salvini è convinto che la sua assoluzione nel processo Open Arms abbia rimosso gli ostacoli etici e politici che nel 2022 avevano reso impossibile il suo ritorno al Viminale. Oggi, ritiene di avere carte migliori: dal successo della manifestazione a Napoli all’approvazione del nuovo decreto sicurezza, passando per una rinnovata visibilità internazionale, suggellata dagli interventi in diretta di Marine Le Pen e Elon Musk al congresso fiorentino.

Il gelo degli alleati: “Squadra che vince non si cambia”

Dal centrodestra, però, arrivano segnali di freddezza. Per Fratelli d’Italia, come ha spiegato Marco Osnato, “il ministro Piantedosi sta lavorando molto bene. E, come dice spesso lo stesso Salvini, squadra che vince non si cambia”. Anche da Forza Italia è arrivata una chiusura: Raffaele Nevi ha ribadito che “il governo va bene così”. Ma fuori dai microfoni, tra gli azzurri i toni si fanno più duri: “Se Salvini si impunta — ma non lo farà — apriamo la crisi, andiamo da Mattarella e ci chiamiamo fuori”.

Una posizione che fotografa l’equilibrio fragile della coalizione: Giorgia Meloni, pur riconoscendo i meriti dell’ex ministro leghista, non sembra intenzionata a cedere alle pressioni. Dietro il fair play istituzionale, il messaggio è chiaro: non è tempo di rimpasti.

Prove di forza, ma anche di identità

Quella del Viminale, per Salvini, è più di una battaglia su un incarico: è un simbolo. La volontà di riappropriarsi di un ruolo fortemente identitario, che parla direttamente all’elettorato leghista della prima ora. Ma è anche una sfida dentro una maggioranza dove i numeri — con la Lega al 9% — non giocano più a favore del segretario.

Il congresso di Firenze è stato un palcoscenico per rilanciare la leadership interna, consolidata anche dalla figura di Roberto Vannacci come vice in pectore. Ma è soprattutto un test di forza verso il governo e gli alleati. Con una domanda di fondo: basterà il peso della storia recente a riportare Salvini sulla poltrona del Viminale?

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