
Era la notte tra il 14 e il 15 febbraio quando due esplosioni hanno colpito la petroliera Seajewel, ferma in rada davanti al porto di Vado Ligure. Uno dei due ordigni piazzati sullo scafo ha provocato uno squarcio, senza causare gravi conseguenze. A quasi due mesi di distanza, l’indagine della Procura di Genova per terrorismo assume contorni sempre più internazionali. Gli inquirenti valutano la pista di un presunto sabotaggio ucraino, eseguito in acque italiane, contro una nave sospettata di aver violato le sanzioni contro il greggio russo.
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Una nave legata alla “flotta fantasma”
La Seajewel, battente bandiera liberiana e parte della flotta greca Thenamaris, è considerata una delle tante unità della cosiddetta “flotta fantasma”: navi che, con GPS disattivati e rotte opache, collegano i porti russi del Mar Nero al Mediterraneo occidentale. Già nei giorni successivi all’attentato, Savonanews aveva evidenziato l’eccezionalità dell’episodio nel contesto della routine portuale locale.
Le indagini subacquee e le riprese notturne hanno confermato che le cariche esplosive potrebbero essere state collocate “da un commando subacqueo”, con modalità compatibili con operazioni militari speciali.
Ipotesi militare e collegamenti con Kiev
Fonti dei servizi segreti italiani, ascoltate dal Copasir, hanno escluso la possibilità di un incidente interno. Le lacerazioni della carena e la direzione delle deformazioni indicano chiaramente un’esplosione “dall’esterno verso l’interno”.
Le immagini delle telecamere di sorveglianza sulla spiaggia di Zinola mostrano movimenti sospetti tra le 22 e la mezzanotte: figure non identificate sembrano operare nei pressi dell’acqua nelle ore immediatamente precedenti alla deflagrazione. Gli ordigni usati, due mignatte esplosive magnetiche, avrebbero causato il danno allo scafo.
Secondo la Procura, la Seajewel avrebbe effettuato carichi di petrolio nel porto algerino di Arzew, ma gli incroci satellitari segnalano una precedente sosta nei porti russi, in particolare Novorossijsk, con il GPS disattivato. Gli inquirenti sospettano che il greggio russo possa essere stato trasbordato o miscelato per eludere l’embargo europeo.
Un’azione nel contesto della guerra ibrida
L’ipotesi principale è che un reparto speciale ucraino, già noto per operazioni contro infrastrutture russe nel Mar Nero, possa aver agito la notte dell’attentato a Vado Ligure. L’obiettivo sarebbe duplice: colpire la logistica energetica filorussa e allo stesso tempo richiamare l’attenzione sulla zona grigia dei traffici navali. L’intensità contenuta dell’attacco potrebbe indicare la volontà di evitare danni ecologici rilevanti.

Un altro episodio simile aveva coinvolto, lo scorso 17 gennaio, la petroliera Seacharm, gemella della Seajewel, nel porto turco di Ceyhan. Anche quella nave è stata sottoposta a controlli a Vado Ligure, prima di riprendere la rotta.
Verso un’inchiesta parlamentare
In Parlamento, cresce l’interesse per un’eventuale inchiesta parlamentare sul traffico marittimo di greggio e sull’effettiva applicazione delle sanzioni. Nei prossimi mesi sarà fondamentale accertare se la Seajewel fosse realmente coinvolta in un’operazione di triangolazione del greggio russo, e se l’attentato sia stato una risposta mirata a tali traffici.